Potete leggere la prima parte di questa puntata qui.
📽️ Visioni
Una rubrica in cui parlo dei film - vecchi o nuovi - che ho visto di recente.
Una delle cose belle dell’essere genitore è che posso vedere tutti i film d’animazione che voglio1. Da circa un anno ho cominciato a rivisitarne alcuni insieme al più grande dei miei figli, che oggi ha quattro anni e mezzo. In genere sono io a proporre il film, tra quelli che ritengo adatti alla sua età e alla sua personalità - non vedo l’ora di arrivare al Rinascimento Disney, per esempio, ma nonostante lui scalpiti secondo me non è ancora pronto per quel livello di cupezza. Quello che cerco di fare è trasformare un’azione tendenzialmente passiva in un momento che lo possa stimolare: e infatti di solito lui fa parecchie domande sia durante che dopo la visione, e poi parliamo del film per giorni interi.
Dato che il mese scorso avevamo visto il film dei Playmobil, qualche settimana fa lui ha chiesto di vedere quello dei Lego: un po’ perché aveva adocchiato la locandina su Netflix, un po’ perché lo scorso Natale ha ricevuto il suo primo set di mattoncini e da allora è andato in fissa.
The Lego Movie di Phil Lord e Christopher Miller (2014) lo avevo visto al cinema e poi mai più, ed è persino meglio di quanto ricordassi. Pieno zeppo di citazioni, con un ritmo indiavolato per tutta la sua durata, divertente e con tante trovate geniali; ma soprattutto con più livelli di lettura, che arrivano (o meno) a un pubblico di età diverse. Un risultato piuttosto sorprendente per un film che è nato con l’obiettivo di vendere giocattoli, e invece finisce col veicolare messaggi che vanno quasi nella direzione opposta. Per l’occasione sono andato a rileggere la recensione che scrissi sul mio vecchio blog oltre dieci anni fa, e devo dire che sottoscrivo ancora oggi tutto quello che ho messo nero su bianco allora2.
Quando mio figlio ha chiesto di vedere The Lego Movie, gli ho detto che si poteva fare ma l’ho avvisato: avrebbe potuto trovare il film difficile da capire. È infatti in una fase in cui si frustra se non comprende quello che gli succede attorno. Vederlo insieme ha permesso a lui di fare domande quando voleva, e a me di spiegare alcuni passaggi logici quando necessario; credo peraltro che non sia semplicissimo, per un bambino così piccolo, padroneggiare quello che si scopre nell’ultimo atto del film - evito spoiler, perché se non l’avete visto vi meritate l’esperienza intatta. Come prevedibile, comunque, il film gli è piaciuto tantissimo. E non solo.
The Lego Movie si fa portavoce di diversi messaggi edificanti - l’elogio del lavoro di squadra, il fatto che chiunque possa essere speciale - ma ce n’è uno che mi è sempre sembrato svettare sugli altri. Nel mondo del film, all’inizio della vicenda, i personaggi vivono delle esistenze felici ma monocordi, in cui tutti compiono le stesse azioni e consumano gli stessi prodotti3. Soprattutto, è un mondo in cui tutti seguono le istruzioni - che nel film sono rappresentate letteralmente come i libricini che si trovano all’interno delle confezioni Lego. Il messaggio che emerge con forza alla fine, invece, è: ok le istruzioni, ma a volte è bene anche pensare fuori dagli schemi, lasciarsi ispirare dalla propria creatività, inventare cose nuove, essere diversi dagli altri.
Terminata la visione, mio figlio è rimasto un attimo in silenzio di fronte alla portata di questo messaggio, e ho quasi potuto sentire gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto. Poi si è alzato, è andato in camera, ha tirato fuori il suo set Lego - che era stato costruito seguendo le istruzioni - e lo ha smontato completamente; con quegli stessi pezzi, subito dopo, ha cominciato a costruire astronavi, sottomarini, castelli e tutto ciò che gli passava per la testa. Da allora il set non è più tornato alla sua forma originale, ma ha continuato a mutare giorno dopo giorno.

Mi ha davvero stupito come un bambino di quattro anni e mezzo abbia fatto proprio un messaggio di certo non banale, al punto da passare all’atto pratico. Vederlo andare oltre la semplice visione di un film, attivando la sfera della creatività e percorsi mentali tutti suoi, mi ha ricordato quanta forza ci sia nella narrativa e nelle storie, e perché da millenni continuiamo a raccontarle.
E mi ha anche riempito di orgoglio, come è normale che sia.
⭐ Voto: 4,5 / 5 (ma all’esperienza genitoriale darei anche il massimo dei voti)
The Lego Movie è al momento disponibile su Netflix.
🎵 Ascolti
Una rubrica in cui parlo di musica senza avere alcuna competenza.
Come la maggior parte delle persone, anche io ho scoperto Lucio Corsi con la sua partecipazione al Festival di Sanremo. Volevo essere un duro - che mi è piaciuta un sacco, e il video mi ha divertito tantissimo - è stato un bel viatico per esplorare la sua produzione precedente, in cui ho trovato a sorpresa tante cose belle e una poetica che ha toccato le corde giuste. Tra tutte, la mia preferita è questa:
Ho sempre più difficoltà a trovare qualcosa che mi colpisce nel panorama musicale italiano contemporaneo, per cui ho accolto questa scoperta con gratitudine. Allo stesso tempo, mi ha stupito l’entusiasmo trasversale che si è addensato attorno a questo cantautore, che forse in un altro momento sarebbe rimasto confinato a una nicchia.
In un commento su YouTube ho letto: Avevamo più bisogno noi di lui che non lui del pubblico. Forse è proprio così, e Lucio Corsi è arrivato al momento giusto, intercettando quel bisogno di musica di qualità che è latente in tutti noi.
🕹️ Backlog
Una rubrica in cui cerco di conciliare videogiochi e vita adulta.
Nel 2004 avevo quindici anni e compravo tutti i mesi la rivista Giochi per il mio computer. Ai tempi in casa avevamo un PC modesto, ma io ero interessato ai giochi in allegato - di solito risalenti a tre o quattro anni prima - che riuscivo a installare senza problemi. I titoli del momento, invece, erano fuori dalla mia portata, e potevo soltanto limitarmi a sbirciarli incredulo dalle pagine della rivista.
Per anni Half-Life 2 (2004, Valve) è stato questo per me: un gioco dalla fama leggendaria, atteso per mesi dalla stampa specializzata e infine protagonista del numero di novembre 2004 con una recensione fiume di otto pagine. Da lì in poi avrebbe vinto decine di premi come “Gioco dell’anno”, e sarebbe diventato una presenza stabile in svariate liste dei videogiochi migliori di sempre.
Ci sono voluti poco più di vent’anni, ma alla fine Half-Life 2 è diventato qualcosa di reale anche per me.
Dopo gli eventi del primo episodio - in cui un esperimento scientifico finito male apriva una porta dimensionale e dava il via a un’invasione aliena - la Terra è stata soggiogata da un impero alieno noto con il nome di Combine, che ha instaurato uno Stato di polizia con l’aiuto di alcuni umani compiacenti. Gordon Freeman è richiamato in azione e spedito a City 17, dove si trova la cittadella Combine. Qui unirà le forze con i membri della resistenza - tra cui gli scienziati Kleiner e Vance, la figlia di quest’ultimo Alyx e la guardia giurata Barney - per porre fine alla dittatura aliena.
Ha senso scrivere di Half-Life 2 nel 2025? Mi ero fatto la stessa domanda a novembre, quando avevo parlato del primo episodio, e la risposta è: probabilmente no. Se non fosse che quella che ho da poco vissuto è stata una delle esperienze videoludiche più memorabili della mia vita. Per cui la farò breve e mi limiterò ai tre aspetti del titolo che mi hanno colpito di più.
Il primo è l’incredibile capacità di questo gioco di immergermi nel suo mondo. Era già uno dei punti di forza del primo capitolo, ma qui il tutto è portato a livelli inimmaginabili: a partire da uno degli incipit più potenti che io ricordi, in cui - senza armi - mi sono ritrovato a scappare da un rastrellamento a opera dei Combine; una sequenza in cui mi sono sentito davvero braccato e indifeso, e che ha fissato le aspettative per il resto del gioco. Aspettative che non sono state deluse, perché questo titolo è tutto un susseguirsi di sequenze iconiche: dal corridoio che piomba nel buio e viene illuminato soltanto dai fumogeni rossi, all’elicottero che attacca il faro sulla scogliera, passando per l’imboscata al White Forest Inn e per i tunnel claustrofobici pieni di zombie. Il gioco mi ha agganciato all’inizio e non mi ha lasciato più, neanche alla fine: tanto che ho giocato in sequenza anche Episode 1 (2006) ed Episode 2 (2007), le due espansioni che completano proseguono la storia.
Senza dubbio, a questo fortissimo senso di immersione contribuisce l’intero impianto grafico. La cosa bella di non aver giocato per tutti questi anni è che la mia percezione dei videogiochi si è in qualche modo cristallizzata alla metà degli anni 2000: questo mi ha permesso di approcciarmi ad Half-Life 2 con gli stessi occhi di chi lo ha giocato all’epoca, quando fu un’autentica rivoluzione visiva4. Sul serio, quando ho visto l’acqua e il modo in cui rifletteva il paesaggio circostante sono rimasto incantato a guardarla; e quando mi sono trovato in una sparatoria e ho visto i vetri prima incrinarsi e poi rompersi in maniera credibile dopo l’impatto con i proiettili, ho pensato: “Ah, i videogiochi sono arrivati a questo livello?”5.
Detto della grafica, la più grande innovazione di Half-Life 2, all’epoca, fu la sua gestione della fisica. Quasi ogni oggetto o elemento di gioco è manipolabile o spostabile, e quella che all’inizio sembra una caratteristica fine a se stessa si rivela ben presto un elemento portante: ci sono diversi enigmi basati sul motore fisico, e addirittura un’arma - la Gravity Gun - che modifica radicalmente l’approccio al gioco. Col senno di poi, è un aspetto che ha fatto scuola: ma mi ha stupito quanto questa innovazione tecnologia sia stata implementata in maniera così organica e rifinita nel gameplay.



E qui veniamo al secondo punto della mia lista: il gameplay di Half-Life 2 mi ha lasciato di stucco per la sua varietà. Ho passato trenta ore in compagnia del gioco (diciannove sul titolo base e altre undici sulle due espansioni) e non c’è stata una sola situazione ripetuta più di una volta. Più andavo avanti, e più Half-Life 2 mi sorprendeva con la sua moltitudine di ambientazioni e dinamiche, in un modo che non ha eguali nella mia esperienza. Fughe precipitose, lunghe sequenze di guida, sessioni survival horror (“Noi non andiamo a Ravenholm”), guerriglie urbane, rompicapi, persino un finale con spazi semi-aperti: è un gioco che sposta in continuazione l’asticella verso l’alto, con una cura del dettaglio che francamente mi ha sorpreso.
Terzo e ultimo punto: la narrazione. Se il primo Half-Life, pur con tutte le sue innovazioni, era ancora un titolo fortemente ancorato agli anni ‘90, il secondo capitolo, a livello narrativo, compie un salto quantico nel nuovo millennio. La premessa è da canovaccio classico della fantascienza, ma lo sviluppo ha una sua personalità anche al di là degli stereotipi. Soprattutto, stavolta c’è un bel cast di personaggi ricorrenti cui si finisce inevitabilmente con l’affezionarsi. Sono soltanto sei gli anni che separano Half-Life 2 dal suo predecessore, ma l’evoluzione del medium - che negli anni 2000 si avvicinava a passi da gigante al modo di raccontare del cinema - si vede tutta; e la scena finale della seconda espansione è talmente drammatica e matura che mi è sembrata addirittura in anticipo sui tempi.
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma non voglio che questo diventi un saggio e quindi mi fermo6. Half-Life 2 è una di quelle opere che trascendono l’ambito videoludico, e uno di quei titoli che ricorderò per sempre. Mi sono chiesto a lungo cosa lo renda un grande videogioco, e forse la risposta l’ho trovata vedendo il documentario di due ore pubblicato in occasione del suo ventennale: è un gioco fatto con passione, da persone appassionate che hanno superato difficoltà di ogni tipo, senza perdere mai di vista il rispetto verso i giocatori. A volte basta poco.
⭐ Voto: 5 / 5
Half -Life 2 si trova su PC, solo su Steam.
🕹️ Extra
Sfortunato il gioco che viene dopo Half-Life 2. Questo onere è toccato a The Cave (2013, Double Fine Productions), che sulla carta avrebbe dovuto riportarmi ai tempi d'oro delle avventure grafiche (è firmato da Ron Gilbert, ideatore di Monkey Island). Ma purtroppo si perde tra inutili sequenze platform, un paio di punti morti che mi hanno quasi fatto abbandonare e soprattutto una trama al di sotto della sufficienza. Salvo solo l'umorismo tagliente della Caverna, ma non basta a farmi rigiocare l'avventura da capo con altri personaggi (ce ne sono addirittura sette).
⭐ Voto: 2,5 / 5
The Cave è disponibile su PC (Steam, GOG) e Xbox (incluso anche nel Game Pass).
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
Ma ve li ricordate gli #hashtag? Pietro Minto, su Rivista Studio, ne ripercorre la gloriosa storia dalle origini fino alla loro inesorabile fine.
Avete mai pensato a come sarebbe bello Google Maps se fosse possibile muoversi anche nel tempo, oltre che nello spazio? Old Maps Online fa esattamente questo: potete esplorare il mondo e vedere imperi sorgere e cadere attraverso i secoli. In più è integrato con Wikipedia e potete sovrapporre alla mappa la versione digitalizzata di cartine d’epoca. Davvero ben fatto.
WikiTimeline, invece, utilizza l’intelligenza artificiale per analizzare qualsiasi articolo di Wikipedia e trasformarlo in una timeline interattiva.
Quelli di FinalRound (vedi puntata precedente) ne hanno combinata un’altra: pubblicheranno in forma di volume Storie di videogame, dal podcast omonimo di Andrea Porta che racconta la genesi e lo sviluppo di alcuni dei videogiochi più celebri di sempre. Il primo volume - incentrato su The Legend of Zelda, Metal Gear Solid, Assassin’s Creed, Bioshock, Mass Effect e appunto Half-Life, più un profilo di Richard Garriott - è in pre-ordine sul sito della casa editrice Itomi, e verrà spedito a partire da giugno.
Che scorpacciata questo mese. Grazie se avete letto fin qui. Ci risentiamo tra una trentina di giorni, ciao!
Non che mi sia mai fatto problemi: io e mia moglie per anni siamo andati al cinema a vedere film d’animazione ed eravamo gli unici senza bambini al seguito.
Sottoscrivo un po’ meno la forma dell’articolo. Mi fa sempre tenerezza rileggere a distanza di anni i contenuti che pubblicavo online in quella che ormai è un’altra epoca della mia vita.
Come la canzone Everything is Awesome, che dopo questa visione si è guadagnata altri dieci anni di residenza nella mia testa, proprio adesso che ero sul punto di dimenticarla.
Va detto che l’Half-Life 2 che ho giocato io non è propriamente quello del 2004, perché nel corso degli anni ha ricevuto alcuni aggiornamenti grafici che, pur senza stravolgerlo, lo hanno indubbiamente migliorato. L’ultimo è arrivato pochi mesi fa, in occasione del ventennale della sua pubblicazione.
Questa frase fa ridere anche me, perché naturalmente ho visto svariati video della generazione attuale, e sono conscio del vero livello raggiunto dai motori grafici odierni. Però, che vi devo dire, mi emoziono con poco.
No, aspettate, fatemi aggiungere un’altra cosa: la City 17 dove è ambientato il gioco è una fittizia città dell’Europa orientale (con parecchi - e oggi inquietanti - parallelismi con l’Ucraina). L’art director Viktor Antonov - che per una triste coincidenza è scomparso a soli 53 anni proprio mentre scrivevo questa newsletter - ha affermato di essersi ispirato alla sua città natale (Sofia), alla sua città d’adozione (Parigi; tra le fonti di ispirazione visive ha citato la Gare d'Austerlitz), ma anche a Belgrado e a San Pietroburgo: il risultato è un’ambientazione diversa dal solito che, secondo questo bell’articolo di The Verge, è all’origine dell’ossessione per i setting post-sovietici che ha caratterizzato i videogiochi negli anni 2000 e 2010.
Bellissimo Half-life 2 ma ancora più bello il piccolo che raccoglie il messaggio del film dei Lego.