Novembre 2024 - Seconda parte
"Il gladiatore II" è proprio come me lo aspettavo; invito all'ascolto di Sam Fender; rivisitare "Half-Life"; la chiusura di BadTaste e altri link.
La prima parte di questa puntata è disponibile qui.
📽️ Visioni
Una rubrica in cui parlo dei film - vecchi o nuovi - che ho visto di recente.
Qualche giorno fa sono andato al cinema (evento che ormai capita solo un paio di volte all'anno) a vedere Il gladiatore II di Ridley Scott, e ho avuto modo di confrontare le mie basse aspettative con la realtà.
Chi mi conosce sa che Il gladiatore (il primo) è uno dei grandi film della mia vita. L'ho rivisto durante il lockdown e in quell'occasione scrissi un articolo in cui elencavo tutti i motivi per cui porto questo film nel cuore (in estrema sintesi: l'ho visto al cinema a undici anni, in un momento irripetibile). L'idea di un sequel mi è sembrata da subito pericolosa; eppure il primo trailer - bruttissimo, pieno di effetti posticci e con una micidiale canzone hip-hop in sottofondo - mi aveva messo addosso un perverso desiderio di andare a vedere il film.
Il gladiatore II è così sbagliato - e in così tante cose - che non so nemmeno da dove cominciare. Tralascio le incongruenze storiche, che non mi hanno mai disturbato più di tanto (anche se qui c'è una scritta in inglese che grida vendetta), e partirei da ciò che ho realizzato a metà visione: e cioè che stavo assistendo non a un sequel, bensì a un remake del film originale. È l'aspetto che mi ha irritato di più: il film non riesce a partorire una sola idea originale - e non dico in relazione al suo genere di appartenenza, ma proprio rispetto al primo capitolo. È tutto un ricalcare le stesse situazioni, gli stessi schemi narrativi, persino le stesse inquadrature del prototipo. È il postmoderno, bellezza - come sottolineato in questa bella recensione a firma di Alice Oliveri su The Vision, che vi consiglio di leggere - e naturalmente si tratta di un discorso che va oltre i confini di questa specifica opera, ma abbraccia l'intera industria culturale.
Come se ciò non bastasse, a tratti questo film assume pure i connotati di una parodia involontaria. Se c'è un pregio ne Il gladiatore II, è che farà rivalutare il primo a un sacco di persone. Ogni cosa soffre il confronto con la pellicola del 2000: la trama è confusionaria, con gli eventi che si succedono uno dopo l'altro senza logica; gli attori che tornano in scena appaiono spaesati (povero Derek Jacobi, che ha dovuto vestire di nuovo la tunica da senatore a quasi 90 anni); alcuni personaggi sfiorano il ridicolo tanto nella scrittura quanto nella caratterizzazione (gli imperatori gemelli, in due, non fanno mezzo Commodo di Joaquin Phoenix); le musiche di Harry Gregson-Williams sono anonime, ma dopotutto la colonna sonora del primo film è un pezzo di storia (e saggiamente Hans Zimmer se n'è tirato fuori); e quando sul finale parte Now We Are Free, be' si configura il reato di lesa maestà. È incredibile quanto il film originale fosse un perfetto meccanismo a orologeria - pur con tutti i suoi difetti - e quanto questo sia lontano anni luce da quel modello - pur tendendo disperatamente verso di esso.
Vabbè, però almeno sarà un film spettacolare, no? Purtroppo anche qui Il gladiatore II mostra il fianco. Si apre con una grande battaglia (vi ricorda qualcosa?) di cui in rete ho letto lodi sperticate, ma che a me è sembrata fiacca e priva di pathos - oltre che affossata da una terribile computer grafica. Non va meglio con i combattimenti nell'arena, e qui si vede l'abisso tra i due film: nel primo Massimo combatteva contro delle tigri (vere), qui Annone se la vede con delle imbarazzanti scimmie fatte al computer; nel primo si metteva in scena la battaglia di Zama (scena clamorosa), qui c'è una naumachia che fa più che altro ridere; per tacere della battaglia decisiva. Nel primo film, soprattutto, c'era un crescendo che preparava lo spettatore a una serie di scene sempre più elaborate e spettacolari; qui invece ogni cosa è sbattuta in faccia senza criterio, tutto e subito, ignorando anche le più basilari regole cinematografiche.
Dopo la visione del film mi sono scambiato alcuni vocali con un amico, che si chiedeva se alla fin fine Ridley Scott non fosse sopravvalutato. Io credo che il suo contributo alla storia del cinema sia innegabile, ma che la parte deficitaria della sua produzione stia ormai prendendo il sopravvento su quella di qualità. È anche un regista che, a 86 anni, tenta ancora una volta la via del grande film epico, e per questo merita rispetto. Qualcosa però si è rotto, e forse le recenti dichiarazioni del direttore della fotografia de Il Gladiatore II spiegano molte cose.
⭐ Voto: 2,5 / 5
Qualcos'altro in poche righe
Sono un millennial semplice: esce una serie che racconta le origini degli 883 e la guardo adorante. Hanno ucciso l'uomo ragno mi è piaciuta tantissimo, e non solo perché ho un bias generazionale potentissimo. Non conoscendo nel dettaglio la storia di Max Pezzali e Mauro Repetto, ho preso la serie come quello che in fondo è: un racconto di formazione e riscatto, che interseca bene i vari filoni tematici degli 883 degli inizi (la ribellione, la provincia, l'amicizia). Soprattutto, è una serie fatta benissimo - per scrittura, regia, scelta delle musiche - che conferma una volta di più i talenti dietro la produzione Groenlandia. Insomma, la classica serie che ti dispiace finisca.
⭐ Voto: 4 / 5
Hanno ucciso l'uomo ragno è disponibile su Now.
🎵 Ascolti
Una rubrica in cui parlo di musica senza avere alcuna competenza.
Ma parliamo un po' di Sam Fender. Ho sempre avuto l'impressione che questo cantautore inglese sia poco conosciuto qui da noi, ma magari mi sbaglio - anche se sotto ai suoi video ufficiali su YouTube, persino i suoi fan d'oltremanica si lamentano di quanto sia sottovalutato.
Mi sono reso conto di ascoltarlo da parecchi anni, addirittura dai tempi di Poundshop Kardashians, un singolo del suo EP di esordio del 2018. Fa un tipo di rock che attinge da varie fonti, ma in cui si sente soprattutto l'influenza di Bruce Springsteen; nei testi Fender è molto attento alle tematiche sociali (ha avuto un'infanzia complicata nei sobborghi di Newcastle), anche se sono le sue sonorità ispiratissime che mi hanno conquistato.
Questo mese è uscito People Watching, singolo che anticipa il suo terzo album, ed è stato come sempre un gran bell'ascolto. Discografia minima se volete cominciare ad ascoltarlo pure voi: Hypersonic Missiles e Will We Talk? (dall'album Hypersonic Missiles, 2019), Seventeen Going Under, Getting Started e The Dying Light (dall'album Seventeen Going Under, 2021).
🕹️ Backlog
Una rubrica in cui cerco di conciliare videogiochi e vita adulta.
Questo mese tutti hanno celebrato il ventesimo anniversario di Half-Life 2. Il gioco è stato addirittura riscattabile gratuitamente su Steam per un intero weekend. E allora sapete cosa ho fatto io? Ho (ri)giocato al primo Half-Life, che non toccavo dal 2005.
L'ho fatto per due motivi. Innanzitutto perché non l'avevo mai finito, e avevo quindi la curiosità di concludere la storia. E poi perché, nel mio programma di recupero dei titoli cult che mi sono perso in questi anni, c'è anche l'intenzione di giocare Half-Life 2, e mi sembrava sensato partire dal primo capitolo, anche solo per una progressione storica. Mi fa strano scrivere di Half-Life (1998, Valve), uno dei videogiochi più importanti di tutti i tempi1. Non so, è un po' come scrivere di Casablanca o Quarto potere; ma visto che uno dei propositi di questa rubrica è anche parlare di videogiochi a chi li conosce poco o niente, ci proverò e pazienza se dirò cose che ad alcuni suoneranno scontate.
Half-Life è uno sparatutto in prima persona che ci mette nei panni di Gordon Freeman, uno scienziato del centro di ricerca di Black Mesa (una sorta di Area 51). In seguito a un esperimento scientifico andato male, uno squarcio dimensionale dà accesso alla struttura a degli alieni provenienti da un mondo chiamato Xen, e le cose cominciano ad andare a rotoli. Inevitabilmente l'esercito viene chiamato a insabbiare l'incidente, e Gordon si trova costretto a trovare una via di fuga da Black Mesa, lottando un po' contro tutti.
La trama - firmata dallo scrittore Marc Laidlaw - ricalca in modo evidente svariati stereotipi della fantascienza, e non è di certo il punto di forza del gioco. Quello che all'epoca fu senza precedenti - e che oggi viene dato per scontato - è il modo in cui il giocatore viene immerso completamente nell'atmosfera di gioco: non sono presenti sequenze di intermezzo o filmati che portano avanti la trama, ma dall'inizio alla fine ogni cosa è vista attraverso gli occhi del protagonista. Ha fatto storia la scena d'apertura, con l'arrivo di Gordon alla base a bordo di un treno: mentre scorrono i titoli di testa, il giocatore può già muoversi all'interno della cabina, guardandosi attorno liberamente; e per i primi venti minuti non si spara un colpo, ma si esplorano i vari ambienti della base interagendo con i colleghi. Può sembrare banale, ma all'epoca non si era mai visto niente di simile.



C'erano tante cose - piccole e grandi - che avevo rimosso e che è stato un piacere riscoprire. Non ricordavo che il gioco è costruito come un unico immenso livello, con i soli titoli in sovrimpressione a far capire quando si passa da un capitolo all'altro. Non ricordavo che si potesse usare la torcia e che ci fossero così tante sequenze al buio, soprattutto nelle fasi iniziali (fun fact: avevo impostato la luminosità della Steam Deck su un valore molto basso per risparmiare batteria, e l'avevo dimenticata così: quindi il buio era davvero molto buio). Non ricordavo che ci fosse una lunga sezione in cui si fa su e giù da una monorotaia, alla ricerca del percorso giusto. Non ricordavo neppure che a un certo punto si viene catturati e si debba ricominciare senza armi, né che ci fosse uno scontro con un elicottero in un canyon (!). Soprattutto, non ricordavo tutte le diverse situazioni di gameplay: c'è tanta azione, ma anche diversi puzzle ambientali da risolvere, momenti di esplorazione e intere sequenze platform basate su salti millimetrici (uno dei pochi difetti che mi sento di imputare al gioco). Ci ho messo 16 ore a portarlo a termine, e Half-Life mi ha stupito per il modo in cui tiene sempre alta la sfida, regalando al giocatore stimoli diversi fino all'ultimo momento.
C'è però un aspetto che mi ha sconvolto, e tra tutti gli elementi di questo titolo è forse quello meno celebrato: il comparto sonoro. Ho giocato ad Half-Life su Steam Deck, in genere sul divano in coabitazione con mia moglie, per cui ho usato le cuffie tutto il tempo: forse questo mi ha consentito di cogliere fino in fondo il lavoro pazzesco svolto sul sound design, tanto più che si tratta di un gioco in cui la musica è quasi del tutto assente. I versi degli alieni, il rumore viscerale di alcuni di loro quando muoiono, i passi che rimbombano nei condotti di aerazione, gli spari in lontananza nelle sequenze all'aperto: sono spesso i suoni a guidare il giocatore, contribuendo all'incredibile senso di immersività che pervade il titolo dall'inizio alla fine.
Avevo pochi dubbi al riguardo, ma rigiocandoci li ho fugati del tutto: Half-Life è un capolavoro, e merita il posto che occupa nella storia dei videogiochi. È divertente, impegnativo, violento, a tratti spaventoso, pieno di tensione, ma anche di momenti ironici, e ti porta dentro il suo mondo come pochi altri. Rigiocarci a distanza di anni è stata una bellissima esperienza, anche perché mi ha consentito di collocarlo nella giusta prospettiva storica. Ho anche rivisto il documentario pubblicato su YouTube l'anno scorso, in occasione del venticinquesimo anniversario del gioco: un'ora di tempo ben investita se volete approfondire come è nata questa pietra miliare dei videogiochi.
⭐ Voto: 4,5 / 5
Half-Life è disponibile su PC tramite Steam.
Qualcos'altro in poche righe
Un piccolo titolo che mi dispiaceva far passare sotto silenzio: Stacking (2011, Double Fine Productions). Si tratta del gemello del Costume Quest di cui ho parlato il mese scorso, visto che sono nati nelle medesime circostanze (e si vede anche dai menù e da alcune scelte di gameplay). In un mondo abitato da matriosche (!), il piccolo Charlie deve ritrovare i suoi fratelli costretti ai lavori forzati dal malvagio Barone. Per sua fortuna è la più piccola delle matriosche e può entrare all'interno delle bambole più grandi acquisendo poteri speciali. Un simpaticissimo puzzle game con elementi che ricordano le vecchie avventure grafiche e diversi modi per completare le varie sfide proposte; alla lunga diventa un po' monotono, certo, ma quando succede il gioco finisce (l'ho completato in circa 8 ore). Merita di essere riscoperto.
⭐ Voto: 3,5 / 5
Stacking è disponibile su PC (Steam, GOG) e Xbox (incluso nel Game Pass).
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
I giovani (chi ha tra i 20 e i 35 anni, quindi a breve uscirò da questa categoria) vanno sempre di più al cinema, e non solo a vedere cinecomic. Una interessante analisi di Gabriele Niola su Il Post.
Il 21 novembre ha chiuso BadTaste, un sito italiano di cinema che esisteva da venti anni e che io avevo conosciuto nel 2006 o giù di lì. Per lunghissimo tempo è stato il mio punto di riferimento online per il cinema e, anche se negli ultimi anni non lo frequentavo più così tanto, la notizia della sua chiusura mi ha un po' immalinconito. Lorenzo Fantoni ha approfondito la questione nell'ultimo numero della sua newsletter Heavy Meta.
Grayson Morley ha una newsletter dedicata ai videogiochi chiamata Backlog, da cui ho
rubatopreso ispirazione per la mia rubrica omonima. In questo numero fa delle belle riflessioni sulla necessità di giocare insieme - non online, ma nella stessa stanza, fianco a fianco.
Si chiude qui questo aggiornamento monumentale. Mesi così ricchi non capitano sempre, tranquilli. Ci risentiamo in tempo per gli auguri di buon anno!
Ha vinto più di 50 premi come “gioco dell’anno” ed è stato inserito più volte al primo posto nella lista dei titoli più belli di sempre da riviste di settore.
Complimenti per come scrivi i riassunti dei film e dei giochi , mi è piaciuto molto leggere questo riepilogo mensile , ti seguirò , ciao