Gennaio 2025
Pagare per informarsi; il viaggio di "Io capitano"; tutto "Alaska Baby" di Cremonini; e nuove newsletter che vale la pena seguire.
Bentornati a Il riepilogo mensile!
Questo mese ho compiuto trentasei anni (🥳) e ho festeggiato facendomi un auto-regalo di compleanno: ho cominciato a pagare per dei contenuti di informazione online.
È qualcosa cui giravo attorno da un po’. Alla base c’è un pensiero sostenuto da molti, e cui sono giunto anche io negli ultimi tempi: tra tutti gli inganni che ci ha propinato il web, uno dei più subdoli è stato convincerci che ogni cosa sia gratis. Dall’informazione all’intrattenimento, passando per le relazioni sociali e la pornografia: tutto è accessibile senza dover sborsare un centesimo. È ovvio che non è davvero così: spesso il costo nascosto è costituito da nostri dati, da rivendere al miglior offerente o utili per piazzare l’ennesimo banner pubblicitario.
Ma non sono qui per indurvi alla lotta armata, quanto per riflettere con voi sulla principale conseguenza di tutto ciò: la qualità dei contenuti su Internet - e in particolare dell’informazione - è ai minimi storici. Ne avevo già parlato oltre un anno fa, spiegando come e perché mi ero avvicinato alle newsletter, ma mai come oggi mi è così evidente. I siti di informazione generalista sono zeppi di titoli clickbait e spazi pubblicitari invadenti. I social network si stanno mangiando il nostro tempo. Quanto a fake news, disinformazione, contenuti distorti o estremi, le cronache recenti parlano meglio di me.
Non tutto è perduto, naturalmente, e i contenuti di qualità esistono ancora. Ma bisogna tenerseli stretti questi spazi, e fare in modo che non scompaiano. È questa rinnovata coscienza che mi ha spinto a finanziare in prima persona - perché di questo si tratta - un paio di progetti in cui credo.
E quindi mi sono abbonato per un anno a Il Post. Sono anni che Il Post è la mia unica fonte di informazione online e, per quanto non sia un quotidiano nel senso tradizionale del termine, rimane un’isola felice dove la qualità dell’informazione viene prima di tutto. È qualcosa di cui la testata ha dato prova in diverse occasioni, ma forse l’episodio che mi ha convinto del tutto è stata la gestione giornalistica del caso Cecilia Sala (e questa riflessione a posteriori del direttore). Il Post, oggi (ma anche ieri: mi sono reso conto che lo leggo da almeno quattordici anni, su quindici totali di attività del sito), ha tutto ciò che cerco in un sito di informazione, e peraltro nel corso degli anni ha convogliato su di sé diverse firme che seguivo già altrove. Non è perfetto, e a volte diventa la parodia di stesso: ma sono difetti che posso sopportare. Avrei potuto continuare a leggerlo gratis, come ho sempre fatto, ma ho deciso di abbonarmi proprio per sostenere il progetto, a prescindere dagli extra che riceverò in cambio1.
Ma ho scelto di sostenere anche un altro progetto, sicuramente più piccolo (come più piccolo è il mio supporto economico verso di esso) ma cui tengo molto: mi sono abbonato al Patreon di FinalRound. Si tratta di un sito web nato in seno a RoundTwo, un canale Twitch e YouTube che si occupa di videogiochi. L’editoria videoludica in Italia è un disastro, e sulle sue macerie FinalRound sta portando avanti in maniera encomiabile un discorso culturale sui videogiochi, che è proprio ciò che io stavo cercando. Con questo abbonamento non ricevo alcun extra, se non il mio nome in una sezione del sito e la grande soddisfazione di sentirmi parte del progetto (che non finisce di stupirmi, ma ne riparliamo nella sezione dedicata ai link).
Per il momento questo, poi si vedrà. Sono gocce nell’oceano, certo. Ma cosa è l’oceano, se non una moltitudine di gocce?
In questo numero de Il riepilogo mensile:
📖 Letture: Loto di Andrea Camillo (con intervista all’autore!).
🎞️ Visioni: recuperando Io capitano di Matteo Garrone.
📷 Istantanea: scale che parlano.
🎵 Ascolti: tutto Alaska Baby di Cesare Cremonini.
🔗 Link: tanta roba, tra video di approfondimento e nuove newsletter da seguire.
Buona lettura!
📖 Letture
Una rubrica in cui parlo dei libri che ho avuto sul comodino negli ultimi tempi.
Qualche mese fa sono incappato per caso nella newsletter Posta Lenta qui su Substack. Il suo autore - Andrea Camillo - vive a New York e scrive romanzi, e la newsletter ruota proprio attorno a questi due perni: da un lato aggiornamenti sulla vita newyorkese, dall’altro pensieri sulla scrittura. Intrigato dallo stile e dal modo in cui riusciva a portarmi nel suo mondo, mi sono iscritto alla newsletter e da allora non ho più perso un numero.
Un po’ di tempo dopo Andrea mi ha inviato in omaggio una copia di Loto, il suo romanzo più recente, che ho finalmente letto con i miei soliti tempi rilassati.
Loto è un romanzo molto lontano da ciò che leggo abitualmente, eppure mi ha preso sin da subito: l’ho finito in sole tre sessioni di lettura, tanto ero curioso di vedere come evolveva la vicenda. Il protagonista della storia è Valerio, un quarantenne disilluso che lavora come commesso in un negozio di provincia. Da giovane era stato un astro nascente della musica, ma proprio sul punto di spiccare il volo è precipitato in un abisso da cui non è più riuscito a tirarsi fuori. All’improvviso, però, scopre che Loto - una ragazza che ha avuto visibilità su YouTube grazie al proprio talento musicale - è in realtà sua figlia: è l’occasione per fare i conti con la propria vita, e forse diventare definitivamente adulto.
Quello di Andrea è un romanzo scritto davvero bene, che scorre veloce e tratteggia interi personaggi con poche, misurate parole. Non dovrei stupirmi, visto che conosco la sua newsletter; ma scrivere narrativa è tutt’altra faccenda. Loto invece è un libro ben congegnato, tanto nelle premesse quanto nello sviluppo della trama (c’è persino un colpo di scena che mi ha sorpreso), con personaggi che si ricordano pur solo con un paio di scene a disposizione (vedi alla voce: Corrado) e qualche autentico momento lirico (in tutti i sensi: sarei curioso di ascoltare in musica i testi delle canzoni).
Insomma, è un libro che ha tanto lavoro dietro, e si vede tutto. Lo sottolineo perché si tratta di un romanzo autopubblicato e, come ho già detto altre volte, col self-publishing non ci si improvvisa. Spero di non mancare di rispetto a nessuno se affermo che Loto non sfigurerebbe nel catalogo di una casa editrice tradizionale.
⭐ Voto: 4 / 5
Visto che avevo l’occasione più unica che rara di poter parlare con l’autore di un romanzo che ho letto, ho pensato di rivolgere qualche domanda ad Andrea - su Loto e sulla scrittura in generale. Lui è stato molto disponibile e così è nata la prima intervista de Il riepilogo mensile!
Raccontaci un po' di te e del tuo percorso come scrittore.
La mia vita di lettore e scrittore è cambiata grazie a Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi. Avevo sedici anni e ricordo di aver pensato: “Ah, ma quindi i romanzi fanno questo?” In quel momento ho capito che un libro poteva parlare di me, anche se scritto da un’altra persona. Qualche anno dopo, ho scritto il mio primo romanzo, pubblicato nel 2011 con una piccola casa editrice. È stata un’esperienza preziosissima, che mi ha introdotto al mondo dell’editoria, di cui fino ad allora sapevo poco. Dopo quel primo libro, ho scritto altre storie, ma ho ricevuto rifiuti che, seppur incoraggianti, mi hanno fatto dubitare del mio percorso. La svolta è arrivata con l’ammissione alla Scuola Palomar, dove ho scritto quello che sarebbe diventato La chimica dell’attimo. Alla Palomar ho trovato persone che condividevano i miei stessi sogni e la mia passione per le storie. Sono stati mesi di grande crescita, personale e professionale. Le amicizie nate allora durano ancora oggi.
Come è nato il romanzo Loto? Da dove è arrivata l'idea di partenza?
Con La chimica dell’attimo ho raccontato la storia di una persona disposta a tutto per inseguire il successo finalmente a portata di mano. Dopo questo romanzo, mi sono accorto che il tema del successo continuava a occupare un posto centrale nei miei pensieri, forse perché toccava corde precise. In quasi quindici anni di scrittura, ho vissuto momenti di entusiasmo e sconforto, affrontato soddisfazioni ma anche il timore che la scrittura potesse rimanere un’attività velleitaria, un sogno irrealizzabile. Credo sia stata questa consapevolezza - e il bisogno di elaborarla - a farmi immaginare Valerio Coralli, il protagonista di Loto. Con lui, ho raccontato la storia di una persona che ha avuto l’occasione della vita e se l’è lasciata sfuggire. Loto inizia quindi nel suo dopo, in un rifugio di rimpianti che si trasforma presto nell’inizio di un’altra storia.
In Loto la musica ha un ruolo quasi da protagonista, e c'è persino una playlist per ascoltare le canzoni citate nel testo. Qual è il tuo rapporto con la musica?
Insieme ai libri, la musica è sempre stata la mia distrazione preferita. Ci sono canzoni e album in grado di rievocare immediatamente momenti, periodi e persone della mia vita. La musica mi accompagnava in ogni spostamento a piedi, in auto, sui mezzi pubblici. Negli ultimi anni, però, è diventata meno presente nelle mie giornate, forse in competizione con tante altre distrazioni a portata di mano. Scrivere Loto mi ha permesso di recuperare quel vecchio legame con la musica. Ho riascoltato canzoni che significano molto per me e ne ho scoperte di nuove che mi hanno aiutato a immaginare il sound del romanzo.
Loto e il tuo romanzo precedente - La chimica dell'attimo - sono stati autopubblicati. Com'è stato approcciare il self-publishing provenendo dall'editoria tradizionale? Quali sono i vantaggi che hai riscontrato, e quali invece le difficoltà?
Oltre a essere un autore, ho lavorato come redattore, lettore editoriale, editor e libraio, il che mi ha permesso di conoscere molte sfaccettature della filiera editoriale. Del self-publishing, però, sapevo poco. È stato trasferendomi negli Stati Uniti che ho iniziato a scoprirlo davvero, sebbene l’auto-editoria sia consolidata anche in Italia. Incuriosito da quello che non conoscevo, ho iniziato a studiare, a frequentare corsi, ad ascoltare podcast. Uno degli aspetti più entusiasmanti del self-publishing è la continua spinta all’innovazione. Ogni giorno c’è qualcosa da imparare! Dopo aver auto-ripubblicato La chimica dell’attimo, ho deciso di fare lo stesso con Loto. Il self-publishing offre una grande libertà: puoi scegliere come, quando e dove pubblicare, con quali professionisti collaborare. Questa flessibilità, però, porta con sé molte responsabilità, richiedendo impegno e competenze che vanno oltre il lavoro di scrittura.
Vivi a New York, e nella tua newsletter racconti spesso la città dal tuo punto di vista. Cosa ti piace di più della Grande Mela, e cosa invece ti manca dell'Italia?
Ho amato New York fin dalla prima volta che l’ho visitata. È una città che riesce a essere al tempo stesso familiare e sorprendente. Dà tanto e chiede tanto. Ho desiderato a lungo viverci e poterla chiamare casa talvolta mi sembra ancora un sogno. In Italia vivono tante persone a cui voglio bene e che mi piacerebbe vedere più spesso. Fortunatamente, oggi possiamo mantenere le relazioni anche con un oceano di mezzo.
So che sei al lavoro su un nuovo romanzo. Puoi darci già qualche anticipazione?
Il nuovo romanzo sarà il terzo di questa serie ideale dedicata al tema del successo. Utilizzando la montagna come metafora, con La chimica dell’attimo ho raccontato la salita, con Loto la discesa. Ora sto scrivendo cosa si vede una volta raggiunta la cima. Sono a metà della seconda stesura, che si è trasformata in una vera e propria riscrittura. Mi sono dato l’obiettivo di pubblicare nella prima metà del 2025. Spero di farcela!
📽️ Visioni
Una rubrica in cui parlo dei film - vecchi o nuovi - che ho visto di recente.
Qualche giorno fa sono state annunciate le nomination agli Oscar, un momento che da sempre catalizza la mia attenzione. Dopo aver scorso l’elenco delle pellicole in lizza per il Miglior Film, ho subito scritto al mio amico ed esperto di cinema Alfredo commentando: “Una decina tra le più deboli che ricordi. Non parlo della qualità dei film (ho visto solo Dune), ma proprio di appeal dei titoli”. Lui mi ha risposto mettendo le cose nella giusta prospettiva, sottolineando che molti dei film in gara hanno vinto premi a Cannes o Venezia, e che in generale il livello è alto.
Tutto ciò mi conferma che il problema sono io, che non riesco più ad appassionarmi come un tempo. È un tema di cui ho già scritto diverse volte, quindi non ci tornerò sopra, ma Alfredo ha chiuso il suo messaggio dandomi un’ulteriore chiave di lettura (e una speranza): “L’appetito vien mangiando, tu sei un po’ a digiuno: tutto qui”.
Ben prima di tutto questo, comunque, avevo aperto il mese recuperando Io capitano di Matteo Garrone, che guarda caso agli Oscar ci era arrivato proprio l’anno scorso (pur senza vincere).
È difficile trovare le parole giuste per descrivere questo film: forse definirlo “bello” è fuori luogo, visto il tema trattato e la messa in scena; ma etichettarlo come “necessario” suona retorico oltre ogni limite. Mi limiterò quindi a dire che, secondo me, è un film da vedere.
Della trama se n’è parlato parecchio ai tempi della sua uscita e del suo passaggio a Venezia nel 2023 (dove vinse i premi per la regia e per il miglior attore): Io capitano racconta la storia di Seydou e Moussa, due adolescenti senegalesi che, di nascosto dalle famiglie, decidono di lasciare Dakar e intraprendere il lungo viaggio verso l’Europa attraverso il Sahara e il Mediterraneo. Dal Senegal al Mali, passando per Agadez in Niger2 e poi su fino alla Libia, viaggiando di volta in volta su autobus, jeep, auto. E a piedi.
Spesso nell’immaginario occidentale - e nel mio - chi lascia l’Africa lo fa per scappare da guerre, malattie, fame. I protagonisti di questo film, invece, vivono in una grande città, vanno a scuola, guardano video sui propri smartphone; vivono in un contesto povero, certo, ma non degradato, e sognano di andare in Europa per diventare delle star della musica. Trovo significativa questa scelta, che orienta l’intero film e rende la vicenda dei due ragazzi ancora più drammatica, nel momento in cui entrambi si pentiranno di essere partiti.
Perché le cose, come immaginabile, prendono ben presto una piega tragica. E il film riesce a essere crudo pur senza scadere nella violenza gratuita3. Così come riesce nel miracolo di evitare le trappole del patetico: è esemplare la scena in cui i due protagonisti vengono separati, costruita quasi come un anticlimax, senza musica o inquadrature a effetto che sottolineano il momento. È evidente un grande talento nel raccontare per immagini - qualcosa di quasi spielberghiano - sostenuto anche da una fattura tecnica impeccabile e dalla scelta di girare on location.
Ci sono scelte che mi hanno convinto - come il fatto che il film non sia doppiato: si passa dal francese al wolof all’inglese, e le uniche parole in italiano sono quelle che danno il titolo alla pellicola - e altre che mi hanno lasciato perplesso - gli squarci onirici che sono finiti anche su alcune locandine internazionali. Ma nel complesso il film mi è sembrato riuscito e sempre a fuoco, pur trattando una materia complessa.
Alcuni hanno accusato Garrone di aver avuto poco coraggio, visto che Io capitano termina in vista dell’Europa e glissa sulle condizioni dei migranti da quel momento in poi. Io credo invece che il regista abbia voluto raccontare la parte meno nota della storia - o meglio, quella che tutti noi abbiamo solo immaginato: ma un conto è immaginare, un altro è vedere.
L’ho visto su Now poco prima che scadesse; al momento è disponibile solo in acquisto o noleggio su varie piattaforme.
⭐ Voto: 4 / 5
📽️ Extra
Nel 2019 andavo ancora abitualmente al cinema, per cui ricordo distintamente il trailer di Ritratto della giovane in fiamme (titolo stupendo) di Céline Sciamma. È un film d'autore che ha raccolto grandi consensi, tutti meritati: questo amore proibito tra due donne, che si consuma su un'isola della Bretagna nel 1770, ha il fascino dei grandi melodrammi. Ci sono grandi interpretazioni, una ricostruzione storica che aggiunge fascino, e una fotografia che mi rimarrà impressa per un po'. Però poteva durare una trentina di minuti in meno, e alcune metafore non le ho colte in pieno (ma mia moglie sì, quindi forse sono io). Si trova su Now.
⭐ Voto: 3,5 / 5
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È stato un flop commerciale e su Rotten Tomatoes ha un misero 18% di recensioni positive, però vi dirò: Playmobil: The Movie non è la cosa peggiore che potreste far vedere ai vostri figli. Fa il suo lavoro, azzecca le gag giuste e con la scusa delle varie ambientazioni mette in scena la parodia di diversi generi cinematografici. The Lego Movie è su un altro pianeta, ovvio, anche se tutto questo insistere sul confronto tra i due film lo trovo fuori luogo (ma forse lo penso perché non ho mai considerato i Playmobil dei giocattoli di serie B). Anche questo è su Now.
⭐ Voto: 3 / 5
📷 Istantanea
Una foto che ho scattato nell’ultimo mese.
Scalette di Via Monte Corona, quartiere Monte Sacro, Roma. Citazione di Ennio Flaiano.
🎵 Ascolti
Una rubrica in cui parlo di musica senza avere alcuna competenza.
Ho finalmente ascoltato tutto l’album Alaska Baby di Cesare Cremonini, e devo dire che è un bell’album - anche se per me Possibili scenari resta un gradino sopra.
Di certo hanno azzeccato la scelta dei due singoli estratti finora - Ora che non ho più te (di cui avevo già parlato a settembre) e San Luca, quest’ultima cantata insieme a Luca Carboni - che sono tra le canzoni più potenti dell’album (che di pezzi ne conta ben dodici, una rarità di questi tempi).
Spesso ho l’impressione che la musica leggera sia scomparsa dal panorama musicale italiano - o almeno dal gusto mainstream. Ecco, Cremonini è un ancora un alfiere di quel pop di qualità di cui sento la mancanza (e non so quanti lo avrebbe potuto prevedere, nel 1999).
Tra le canzoni che non sono (ancora) state scelte come singolo, quelle che mi piacciono di più sono tutte nella seconda metà della tracklist: Streaming mi ipnotizza; Il mio cuore è già tuo (prodotta dai MEDUZA) sarebbe una grande hit estiva, ma tanto già lo so che sceglieranno la meno convincente Limoni; Una poesia “sembra una canzone dei Lunapop” (cit. mia moglie, a voi decidere se è un complimento o no); e Acrobati chiude alla grande l’intero album. Fatevi un favore e ascoltatelo.
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
Dieci minuti ben spesi: Francesco Oggiano racconta la storia di Andrea Alongi, del processo giudiziario che lo ha reso un meme, e soprattutto dell’essere umano dietro il personaggio. Si trova su YouTube.
LinkedIn è l’ultimo dei social network? E sottolineo network. Una interessante analisi di Andrea Daniele Signorelli su Link.
Domenico Misciagna - probabilmente la persona che seguo da più tempo di tutte su Internet - ha fatto una bella riflessione sul personaggio di Indiana Jones, su come si è evoluto nel corso degli anni, e su come i videogiochi potrebbero rappresentare la sua salvezza. Si trova su YouTube, e il titolo del video vale da solo il prezzo del biglietto: Indiana Jones e il TEMPO maledetto.
Ricordate i tempi in cui il gaming per PC era una roba per nerd smanettoni? Io sì. Il 2025 invece segnerà l’inizio del PC gaming per tutti. E, secondo Chris Plante di Polygon, il merito è soprattutto della Steam Deck.
Alessandro Zampini ha lanciato, in collaborazione con RoundTwo e FinalRound (visto che tutto torna?), un nuovo progetto che mi ha subito conquistato: Cross Gen, una newsletter ospitata su Substack (ma disponibile anche su Final Round) che si occuperà dell’intersezione tra figli e videogiochi. Seguo con interesse.
A proposito di newsletter, Matteo Roccarina ne ha lanciata una con un format vincente: parla dei libri letti, dei film visti, delle canzoni ascoltate, eccetera. Dai, iscrivetevi.
Questo mese sono andato lungo su un sacco di argomenti, e alla fine ho dovuto tagliare la rubrica Backlog (ho scoperto che alcuni lettori la saltano, altri leggono solo questa parte: comunque sia torna il prossimo mese, tranquilli!).
Ci sentiamo tra una trentina di giorni, ciao!
Alcuni sostengono che far pagare per l’informazione sia elitario, perché esclude quella fascia di popolazione che non può permettersi un abbonamento. Anche in questo la scelta de Il Post mi convince: i contenuti principali sono fruibili da tutti, mentre a essere dietro il paywall sono podcast e newsletter di approfondimento. Credo sia importante che tutti - indipendentemente dalle possibilità economiche - possano accedere a un’informazione ragionata e di qualità.
Nel 2018 ho pubblicato un racconto di fantascienza intitolato La traversata al contrario: immaginavo uno scenario futuro in cui la rotta di migrazione era ribaltata, con gli europei a scappare verso l’Africa. Una delle tappe del viaggio - la più significativa ai fini della trama - era proprio ad Agadez. E niente, la coincidenza mi ha stupito.
Ci sono comunque dei momenti molto forti. Mia moglie ha abbandonato a metà visione perché la trovava insostenibile. C’entra naturalmente il fatto che la storia riecheggia quella vera di migliaia di persone.
Auguri trentaseienne! 🎉
(E stracontento che sia anche tu un abbonato del Post)
Leggere "Il riepilogo mensile” mi fa sentire sempre nel posto giusto. Stavolta ancora di più! Grazie mille Luigi per aver ospitato me e “Loto” 🙌