Luglio 2025
Un'esplosione di consumi mediatici.
Bentornati a Il riepilogo mensile!
Nelle newsletter della scorsa estate mi lamentavo dei consumi mediatici ridotti al lumicino. Quest’anno la storia è diversa: a quanto pare ho trovato un buon ritmo, grazie anche a mutate condizioni esterne su cui non mi dilungherò. Quello che state per leggere è quindi un numero di luglio insolitamente ricco - e per agosto ho già qualche colpo in canna.
Manca solo la scrittura. Da marzo a giugno ho scritto tanto, anzi tantissimo, avviandomi verso la conclusione della prima stesura del nuovo romanzo. Nonostante ciò - o forse proprio per questo - ho sentito il bisogno di fermarmi. Ho diverse idee da riordinare, parti da aggiungere e altre da tagliare, per affrontare poi l’ultimo sprint. Ma d’estate cambiano i ritmi, gli orari, i luoghi, e mantenere la concentrazione diventa difficile. Sto approfittando di questo periodo per recuperare le energie mentali, ed essere pronto per ripartire - spero in modo definitivo - a settembre.
Ah, questo mese ho anche passato del tempo con Matteo Roccarina, autore della celebre newsletter Salve, buongiorno, come va (cui come sempre vi consiglio di iscrivervi). È stato un onore buttare la spazzatura con lui per tutte queste sere, ci si vede alla prossima!
In questo numero:
🗺️ Esplorazioni: in viaggio sulla costa abruzzese.
📖 Letture: il mio appuntamento annuale con Georges Simenon.
🎞️ Visioni: un bel fritto misto per accontentare tutti (o nessuno).
🕹️ Backlog: ho giocato ad Assassin’s Creed. Il primo, quello del 2007. Eh già.
🔗 Link: un volto (e una penna) da seguire.
Buona lettura!
🗺️ Esplorazioni
Una rubrica in cui parlo dei posti dove sono andato, in Italia e nel mondo.
A inizio mese ho trascorso qualche giorno sulla costa abruzzese con la mia famiglia. Come raccontavo a luglio 2024, lo scorso anno ho aperto la via adriatica, e penso che ancora per qualche tempo esplorerò in lungo e largo quel mare a misura di bambino.
Se l’anno scorso eravamo stati a San Benedetto del Tronto, stavolta siamo scesi di qualche chilometro e abbiamo fatto base a Giulianova, in provincia di Teramo. Il format della vacanza è sempre a base di mare e piscina, con qualche gita per visitare i luoghi d’interesse nei dintorni. A partire dalla stessa Giulianova, piacevole cittadina a misura di famiglia, con un lungomare ben curato e una passione diffusa per il basket - ho perso il conto dei campetti di strada, in quei giorni occupati da tornei giovanili. Meno curato - per non dire in fase di abbandono - il centro storico alto, che pure farebbe la sua figura senza i negozi sfitti e i vicoli degradati. Da qui, per la prima volta in vita mia, ho avvistato delle piattaforme petrolifere - anche se poi ho scoperto che sono metanifere: forse uno strano modo per ricordarsi di Giulianova, ma tant’è.
Una sera abbiamo preso le biciclette e, percorrendo la ciclabile che corre ininterrotta per decine di chilometri lungo la costa, siamo arrivati nel comune adiacente, Tortoreto. In quell’occasione abbiamo visitato il suo lido all’imbrunire, un’esperienza che mi è piaciuta tantissimo. Ma di Tortoreto abbiamo visto anche il centro storico. Lì ci siamo incontrati con Giulia (una lettrice di questa newsletter, ciao Giulia!) e la sua famiglia, e abbiamo assistito a una sfida di breakdance tra giovanissimi del posto, che è stata a un passo dal degenerare in rissa (per colpa dei genitori, si intende).



Un borgo simile a Tortoreto è Montepagano, frazione di Roseto degli Abruzzi. Vi abbiamo incontrato una manciata appena di turisti - come sempre non appena ci allontanavamo dalla costa - e invece a me è piaciuto molto, con i suoi vicoletti e la vista inconsueta che abbraccia nello stesso sguardo il mare e le colline.
Infine, la gita con cui ci siamo spinti di più verso l’entroterra. Un pomeriggio abbiamo visitato Campli, un borgo celebre per la presenza di una Scala Santa non dissimile da quella di Roma. Il paese purtroppo ha ancora segni evidenti del passaggio del terremoto, quindi passeggiarvi ci ha fatto un effetto strano - peraltro, anche qui eravamo gli unici turisti. Peccato che per pochi giorni abbiamo mancato la Festa delle Fregnacce.



Sulla via del ritorno, anche stavolta ho guardato ammirato il massiccio del Gran Sasso. L’Abruzzo mi piace sempre di più, e non vedo l’ora di esplorarlo meglio.
📖 Letture
Una rubrica in cui parlo dei libri che ho avuto sul comodino negli ultimi tempi.
Ho inaugurato un’altra bella tradizione: leggere un romanzo di Georges Simenon all’anno. Tutto è cominciato a giugno 2024 con L’uomo che guardava passare i treni, ed eccoci qua, circa dodici mesi dopo, col suo libro che ho visto passare più spesso sui social (quando ancora li frequentavo).
La camera azzurra (1964, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2003; traduzione di Marina Di Leo) è un romanzo breve - 153 pagine appena - ma incredibilmente denso. Simenon lo ha scritto nel suo solito stile asciutto, senza orpelli o divagazioni, che in questo caso mi è sembrato ancora più efficace.
La trama racconta la fine di un amore extraconiugale in un paese della provincia francese, e le conseguenze tragiche che comporterà sulle vite dei due adulteri, Tony e Andrée. Non voglio rivelare troppo, ma che ci scappi un morto è chiaro sin dalle prime pagine: l’intera narrazione, infatti, alterna un’indagine di polizia (e in particolare gli interrogatori cui è sottoposto Tony) con ricostruzioni in flashback della vicenda. L’identità del morto viene rivelata solo a metà libro - anche se il lettore fa le sue congetture - e questa scelta, unita alla struttura del romanzo, contribuisce a tenere viva l’attenzione fino alla fine.
Ma per quanto l’intrigo funzioni a meraviglia, La camera azzurra non è uno dei tantissimi romanzi gialli che ha scritto Simenon. No, questo fa parte dei suoi “romanzi duri”, opere in cui l’autore belga indaga i risvolti più oscuri della mente, e in cui la psicologia dei personaggi è tutto. La camera azzurra è un romanzo di grandi e brucianti sentimenti, di una passione per certi versi inspiegabile che inghiotte ogni cosa, di amori malati, di ossessioni e di follia. È anche un romanzo sorprendentemente erotico, ben più esplicito di quanto mi sarei aspettato da un libro pubblicato nei primi anni ‘60.
Ho letto La camera azzurra in pochissimi giorni, animato da una vera e propria urgenza di terminarlo. È un romanzo a tratti lancinante per come trascina nell’abisso i propri personaggi. Mi ha colpito tantissimo e mi è piaciuto altrettanto, in modi che non sono chiari nemmeno a me: ma non sempre il giudizio su un’opera di narrativa può essere frutto solo di elementi razionali.
⭐ Voto: 5 / 5
🎞️ Visioni
Una rubrica in cui parlo di film o serie tv che ho visto di recente.
Ho visto un numero insolitamente alto di film questo mese, e ce n’è davvero per tutti i gusti. Niente analisi dettagliate questa volta, vado veloce.
La commedia italiana di cui hanno parlato tutti nei primi mesi del 2025. Ho riso? Sì, anche di gusto in alcuni punti. Me lo ricorderò tra un anno? Ne dubito. Follemente (2025, Paolo Genovese), è un classico film medio, ben confezionato ma senza alcun picco. E soprattutto senza idee originali: tralasciando tutto il discorso Inside Out, persino la scena in cui si confrontano le cicatrici è rubata da Arma Letale! Attori simpatici (Emanuela Fanelli ormai patrimonio della commedia italica), ma un paio di segmenti cringe su cui boh. Comunque, per una sera d’estate va più che bene. L’ho visto su Disney+.
⭐ Voto: 3 / 5
Avevo sempre snobbato Lilo & Stitch (2002, Chris Sanders e Dean DeBlois). Ai tempi avevo appena smesso di vedere i film Disney al cinema, e questo aveva uno stile grafico che proprio non mi andava giù. Invece oggi quel tratto che unisce animazione tradizionale e computer grafica mi sembra proprio tipico di inizio millennio, e ci ho fatto pace. Ma soprattutto questo film ha tutti i personaggi giusti, e affronta senza paura temi complessi (famiglie disfunzionali, rapporti complicati tra sorelle, l’ombra dei servizi sociali). Non a caso i due registi hanno poi diretto Dragon Trainer, altro film che affronta di petto un tema enorme (la disabilità) - nonché unica serie che salvo nel catalogo d’animazione della DreamWorks. Anche questo, ovviamente, è su Disney+.
⭐ Voto: 4 / 5
Un mio rimpianto cinematografico: aver perso Mad Max Fury Road al cinema. Nonostante ciò, mi sono lasciato sfuggire pure Furiosa - A Mad Max Saga (2024, George Miller). Come il suo illustre predecessore, anche Furiosa è eccessivo e sopra le righe, però ha una forza magnetica che ti porta nel suo mondo e ti annichilisce. Un film d’azione d’autore, forse l’unico esemplare del genere in tempi recenti. Credo che, in linea generale, Fury Road sia migliore, ma di Furiosa ho apprezzato la volontà di creare un film diverso dal prototipo. Senza contare che lo avrei potuto immaginare io a dodici anni, con tutte quelle auto rattoppate e le acrobazie fuori di testa, e ammetto che il fatto che sia stato scritto e diretto da un uomo di settantanove ha contribuito a livellare il voto verso l’alto. Si trova su Now.
⭐ Voto: 4 / 5
Devo smetterla di guardare i cult anni ‘80 fuori tempo massimo. Grosso guaio a Chinatown (1986, John Carpenter) puzzava di fregatura già da lontano, ma sono un inguaribile ottimista. È un film così sgangherato che non so nemmeno da dove cominciare; ma il fatto che su Letterboxd la gente lo veneri proprio per la sua mancanza di senso, mi fa capire che l’ho visto nel momento sbagliato. Quindi accetto la cosa e basta. Sta nel catalogo Disney+, e là sta bene.
⭐ Voto: 2,5 / 5
🕹️ Backlog
Una rubrica in cui cerco di conciliare videogiochi e vita adulta.
Ma parliamo delle saghe videoludiche cui non ho mai giocato. A farne l’elenco c’è da ridere di gusto: Grand Theft Auto, Metal Gear, The Legend of Zelda, Mass Effect, Bioshock, Resident Evil, The Witcher, The Last of Us, Red Dead Redemption, Fallout e mi fermo qui per senso di decenza. Però almeno, d’ora in poi, posso smarcare un titolo illustre da questa lista: quello di Assassin’s Creed.
Immagino che questo nome sia noto a tutti, ma giusto per mettere le cose in chiaro: con oltre 200 milioni di copie vendute, si tratta di uno dei franchise videoludici più di successo di sempre. Al momento in cui scrivo, la serie conta quattordici episodi, un numero indefinito di spin-off, un film (del 2016) e una serie tv in via di realizzazione per Netflix. Eppure, la serie ha esordito nel momento peggiore per me: nel 2007, quando avevo appena mollato i videogiochi. Ho ricordi chiarissimi di Gabriele (anche lui legge questa newsletter, ciao Gabriele!) che me ne parla durante gli anni universitari, e una volta vidi il mio coinquilino Matteo (altro lettore affezionato, ciao Matteo!) giocare a uno dei capitoli successivi. Ma non ci avevo mai messo le mani sopra: e così, fedele a un approccio che è soprattutto storiografico al medium videoludico, ho deciso di partire dal primo episodio.
2012. Il barista Desmond Miles viene rapito e portato nel quartier generale della Abstergo, un colosso dell’industria farmaceutica. Qui viene sottoposto a una serie di esperimenti attraverso l’Animus, un macchinario che traduce la memoria genetica in immagini: in questo modo Desmond può rivivere le gesta di un suo antenato, Altaïr, membro della setta degli Assassini, che durante la Terza Crociata aveva ricevuto il compito di uccidere una serie di bersagli illustri. Desmond si ritroverà così al centro di una guerra millenaria tra Assassini e Templari, ben lungi dall’essere terminata.
Se dovessi sintetizzare il mio pensiero su Assassin’s Creed (2007, Ubisoft Montreal)1, direi che è stata una grandissima esperienza immersiva, ma una mediocre esperienza videoludica. Le prime tre-quattro ore di gioco - su un totale di circa diciannove che mi sono occorse per arrivare alla fine - sono state grandiose e ben oltre le aspettative. L’inizio in medias res, poi un tutorial inserito organicamente all’interno della trama e a seguire un open world da percorrere a cavallo (che francamente non mi aspettavo): quando sono arrivato a Damasco - la prima delle tre grandi città del gioco - e ho cominciato ad affrontare le varie missioni, avevo gli occhi traboccanti di ammirazione.
Sì, perché un titolo come questo, per me che ho saltato a piè pari gli ultimi quindici anni abbondanti di uscite videoludiche, è ancora bellissimo da vedere. Le città sono pazzesche: piene di gente ed edifici, trasmettono davvero la sensazione di grandezza, ed è possibile esplorarle sia camminando nelle strade che correndo sui tetti - dopotutto, il parkour videoludico è nato qui. Poi oh, io mi emoziono anche per le piccolezze: tipo le ombre delle nuvole in movimento sul terreno, che mai prima d’ora mi era capitato di incontrare in un videogioco.
Assassin’s Creed fa di tutto per immergere il giocatore nella Terra Santa del 1191, e ci riesce benissimo anche grazie al taglio dichiaratamente cinematografico. Nelle sequenze scriptate la telecamera è sempre nel posto giusto, le musiche si adattano a ciò che accade sullo schermo, il lavoro cromatico e stilistico sulle tre città (Damasco, Acri e Gerusalemme) è encomiabile. Il gameplay ti invoglia a tenere un basso profilo, ma quando le guardie ti inseguono sui tetti senti davvero un brivido lungo la schiena. Il gioco contiene anche alcuni “momenti wow”2 che ricorderò a lungo: l’arrivo a cavallo a Damasco, con la città che compare all’improvviso alla fine di una gola rocciosa nella luce ocra; il panorama grigio del porto di Acri, con la cattedrale e il castello a dominare la città da due punti diversi, e i segni dell’assedio ancora visibili fuori dalle mura; le scalate vertiginose dei minareti, con l’intera città ai miei piedi.



Tutto bellissimo, peccato per il rovescio della medaglia. Terminata la prima tornata di missioni a Damasco, mi sono reso conto che il gioco riproponeva la stessa identica meccanica da lì alla fine: raggiungi la nuova città, sblocca l’accesso a un nuovo quartiere, scala le torri, completa le missioni secondarie (sempre uguali), uccidi il bersaglio. Così fino all’ultimissima parte del gioco che, in maniera poco coerente con l’approccio stealth, è sbilanciata sul versante action. Insomma, per più di una decina d’ore mi sono quasi annoiato.
Non è l’unico difetto. I duelli all’arma bianca sono tanto belli da vedere - con coreografie e inquadrature da film - quanto macchinosi da giocare (e la progressione delle abilità è piuttosto inutile). Gli aiuti a video mi hanno irritato: ero convinto sparissero dopo il tutorial, e invece dopo quasi venti ore ancora mi spiegavano cosa fare e quali pulsanti premere3. Però ho sopportato tutto, perché volevo vedere dove andava a parare la storia, un bell’intrigo tra presente e passato che coinvolge anche personaggi storici: per questo sono rimasto inebetito davanti allo schermo quando il gioco si è concluso con un cliffhanger criminale.
In un certo senso, comunque, erano i difetti che mi aspettavo. Il destino recente della saga mi è noto, così come la fama nefasta che Ubisoft si è costruita negli anni. Incuriosito, ho cercato delle recensioni dell’epoca, e mi ha colpito in particolare questa di The Games Machine, che già allora lamentava un gameplay ripetitivo (lodando però la “grafica stratosferica” del gioco). D’altra parte, ho letto che già dal secondo capitolo (quello ambientato in Italia con Ezio Auditore!) il tiro è stato aggiustato, e vi confesso che presto o tardi lo proverò molto volentieri. Perché sì, al netto di tutte le frustrazioni, giocare ad Assassin’s Creed è stata per me una gran bella esperienza, credo non molto dissimile da quella di chi ci ha giocato nell’ormai lontano 2007.
⭐ Voto: 3,5 / 5
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
Un bel pezzo su Google Street View scritto da Priscilla De Pace per la newsletter di Link. Idee per la tv. Parte in maniera scanzonata, poi fa un’inversione a U e ti colpisce quando meno te lo aspetti.
Ho già affermato in passato che Stefania Sperandio è una delle migliori penne (e menti) della critica videoludica italiana. Questo mese ha annunciato di aver lasciato dopo tredici anni la direzione di SpazioGames, per concentrarsi sui propri progetti personali: il canale YouTube Secondo Tahva, e la newsletter su Substack NarraTahva. Se i videogiochi vi interessano soprattutto come oggetti culturali e narrativi, il consiglio è di seguirla.
E il primo numero estivo è andato! Ci sentiamo a fine agosto, ciao!
Io ho giocato - su Steam Deck collegata a monitor esterno - la versione Director’s Cut uscita su PC nel 2008, che aggiunge qualche missione secondaria in più rispetto alla versione console.
In un videogioco, dicesi “momento wow” (espressione che ho appena inventato) una scena che ti colpisce a tal punto da lasciarti a bocca aperta. Curiosamente, un altro momento wow lo devo sempre a Ubisoft Montreal: quando, nella demo del primo Splinter Cell, vidi l’ombra ingigantita di una falena che svolazzava attorno a un lampione.
Il tutto in un contesto in cui la difficoltà media è sempre tarata verso il basso. Una piaga del gaming contemporaneo, lo so bene, ma che già qui aveva le sue radici.







