Dicembre 2024
Un libro che non ho abbandonato; la fine de L'amica geniale; un videogioco indie che mi ha affascinato; una sfida geografica al giorno.
Bentornati a Il riepilogo mensile, con l’ultimo numero del 2024!
Prima di cominciare vi ricordo che un paio di settimane fa è uscita un’edizione speciale della newsletter, in cui ho fatto il mio personale riepilogo dell’anno: il meglio e il peggio dei prodotti mediatici che ho consumato, più le somme di dodici mesi (vabbè, non proprio) di scrittura. Se anche voi - come me - siete fan di questo genere di liste, trovate tutto a questo indirizzo.
Ecco invece il sommario dell’ultima newsletter dell’anno:
📖 Letture: Il filibustiere e la pazienza ripagata.
🎞️ Visioni: c’è vita dopo L’amica geniale?
🕹️ Backlog: Limbo e il fascino del bianco e nero.
🔗 Link: sfide geografiche, abissi di Wikipedia e molto altro.
Buona lettura!
📖 Letture
Una rubrica in cui parlo dei libri che ho avuto sul comodino negli ultimi tempi.
Sono quel tipo di persona che non abbandona mai un libro, anche se non gli sta piacendo. Lo faccio perché ho sempre la speranza che, magari alle ultime battute, quel libro possa comunque lasciarmi qualcosa di buono. Inutile dire che questa speranza viene puntualmente disattesa. Ma non stavolta.
Il filibustiere (The Rover in originale) è un romanzo del 1923, l’ultimo pubblicato in vita da Joseph Conrad, che ho letto nella traduzione di Alberto Cavanna edita da Nutrimenti Mare. Francia, inizio XIX secolo. Peyrol, un uomo che ha passato cinquant’anni per mare al servizio tanto della Francia quanto dei Fratelli della Costa, torna nella sua terra d’origine: la costa francese nei pressi di Tolone. Qui troverà alloggio presso la locanda di Escampobar, ospite di due donne e di un uomo dal passato misterioso, e per un po’ su ogni cosa regnerà un equilibrio instabile. L’arrivo di un tenente francese - e di una nave inglese che incrocia proprio fuori dalla baia - farà precipitare ogni cosa.
Trattandosi di un libro di un secolo fa, immaginavo che non sarebbe stata una lettura semplice - per quanto la nuova traduzione sia al passo coi tempi e l’edizione sia arricchita da alcune belle illustrazioni. I primi tre capitoli - che fungono da prologo della vicenda - sono andati giù velocemente, poi la narrazione si è fatta all’improvviso complicata, al punto che a tratti mi sono ritrovato un po’ confuso su ciò che stava accadendo. Di certo non hanno aiutato i numerosi riferimenti storici agli anni del Terrore e alla prima Francia napoleonica, che danno per scontate nozioni che purtroppo non ho; ovviamente si tratta di un mio limite, ma forse anche di un tratto tipico dei romanzi dell’epoca (ho l’impressione che oggi il lettore venga preso più per mano, almeno nella maggior parte dei casi).
Nonostante tutto ho tenuto duro, anche perché ero curioso di capire dove andasse a parare la trama. E per una volta la mia scelta ha pagato. Nelle ultime cinquanta pagine il romanzo dà un colpo di coda notevole, chiarendo finalmente il senso ultimo della storia e ammantandola di un alone di malinconia (d’altronde è un romanzo crepuscolare in tutto e per tutto). La soluzione della vicenda mi ha soddisfatto in pieno, e ho finito con l’appuntarmi diversi passaggi che mi hanno colpito:
Réal era pronto a stringere per sempre a sé quella donna toccata dalle mani arrossate della rivoluzione perché lei, proprio lei che aveva sguazzato fino alla cintola nel terrore della morte, lo aveva portato a toccare il senso della vita che trionfa.
Tutti gli uomini a bordo, con la schiena al tramonto, chiaro come un limpido topazio sopra la gemma scura del mare, videro la tartana inclinarsi all'improvviso e poi, senza fermarsi, affondare. Alla fine solamente la bandiera tricolore, malinconica e solitaria, rimase visibile per un attimo interminabile, al centro di un orizzonte ingentilito da mille colori. Poi svanì completamente, come una candela su cui qualcuno avesse soffiato, lasciando tutti gli astanti soli con un immenso senso di improvvisa solitudine.
L'azzurra distesa del Mediterraneo, da sempre seduttore e ingannatore di uomini audaci, continuava a serbare il segreto del suo fascino - stringendo a sé nella pace le vittime di ogni guerra, calamità e tempesta, sotto il cielo magnificamente terso al tramonto. Il sospiro della brezza della sera scendeva a rinfrescare le rocce bollenti di Escampobar. E il gelso, l'unico grande albero sul capo della penisola, quasi una sentinella alle porte del cortile, sospirò lievemente nel fremito delle sue foglie, quasi a rimpiangere il Fratello della Costa, l'uomo dalle gesta oscure ma dal grande cuore, che spesso al mezzogiorno si stendeva a riposare sotto la sua ombra.
Lo capite da voi che non è un romanzo per tutti i gusti, ma per me Il filibustiere si è rivelato alla fine una lettura soddisfacente.
⭐ Voto: 3 / 5
📽️ Visioni
Una rubrica in cui parlo dei film - vecchi o nuovi - che ho visto di recente.
Sarà pure vero che non vedo serie tv, ma non potevo lasciarmi sfuggire la stagione finale de L’amica geniale. Per l’occasione l’ho seguita tutta alla vecchia maniera - cioè in diretta tv, ogni lunedì sera per cinque settimane.
Il mio legame con questa serie parte da lontano. Potrei raccontarvi di quando, il 27 novembre 2018, fui incaricato di premere il pulsante che avrebbe reso disponibile in streaming - in contemporanea con la diretta tv - il primo episodio della prima stagione, ma non lo farò1. Vi dico invece che la quadrilogia di Elena Ferrante è una delle opere letterarie che più mi hanno affascinato negli ultimi dieci anni. L’amica geniale (intesa come serie di libri) si ama o si odia: e io mi sono fatto conquistare dai suoi personaggi sfaccettati, dalla trama che attraversa sessant’anni di storia italiana, e soprattutto dal suo stile fluviale. Ricordo ancora quelle 100 pagine ambientate a Ischia nel secondo volume, pagine in cui non succede nulla di rilevante ai fini della trama, e a chi mi chiedeva: “Ma cosa succede in quella parte, scusa?”; io rispondevo: “Succede la vita”.
Ma torniamo alla serie tv. Questa quarta stagione mi è piaciuta molto e regge il confronto con i libri, al pari delle tre che l’hanno preceduta. Ma soprattutto sancisce una volta per tutte la grandezza di questo prodotto nel panorama italiano (ok, è una co-produzione con HBO e si vede, però è anche una serie pensata e recitata in italiano - e napoletano -, andata in onda in lingua originale anche negli USA). Se infatti trama e temi trattati sono gli stessi dei libri - e quindi, se non l’avete fatto, vi rimando alla loro lettura - gli elementi che mi hanno impressionato sono proprio quelli più strettamente audiovisivi.
A partire dalla messa in scena che, stagione dopo stagione, è diventata sempre più impressionante. Se la ricostruzione del rione è sempre stata incredibile, in questi ultimi episodi - ambientati in larga parte tra anni ‘80 e ‘90 - mi hanno colpito i dettagli degli interni: telefoni, mobilio, poster, libri, programmi tv. C’è stato un lavoro di ricostruzione maniacale di un’epoca che è vicina a noi, ma allo stesso tempo è ormai consegnata alla storia.
Un altro aspetto che mi è balzato all’occhio è il lavoro sul casting. Questa stagione - diretta da Laura Bispuri - era attesa al varco perché tutti i personaggi passavano di mano da un interprete all’altro. Sono rimasto a bocca aperta per alcune somiglianze e per come il passaggio dei decenni sia stato reso in maniera del tutto naturale - persino nel caso dei genitori di Elena, forse gli unici per cui si è ricorso al trucco. C’è poi l’altro aspetto sconvolgente, e cioè come attori non napoletani si siano calati nei personaggi, lingua compresa: in tal senso il Nino Sarratore di Fabrizio Gifuni è semplicemente di un altro pianeta, e spicca sull’intero cast. Menzione d’onore per la Lila di Irene Maiorino: Lila è il personaggio più complesso e misterioso dell’intera saga, e ha avuto la fortuna di essere stata interpretata da attrici che hanno azzeccato il ruolo della vita.
C’è poi la scrittura - cui ha contribuito Elena Ferrante - che ha imposto alla serie lo stesso ritmo dei libri: a tratti si è sopraffatti dagli eventi, ma ci si lascia travolgere e portare via dalla corrente, e va bene così. Il finale di stagione è un bel crescendo di emozioni, e anche l’occasione per ascoltare un’ultima volta all’interno della serie la magistrale Spring 1 di Max Richter (le cui musiche hanno giustamente contribuito al successo dell’intera serie).
L’amica geniale è una serie che ho molto amato, esattamente come i libri da cui è tratta. Non piacerà a tutti - e ha i suoi momenti molto duri che possono respingere parte del pubblico - ma resta il fatto che rappresenta un unicum nel panorama audiovisivo italiano. Si trova su RaiPlay.
⭐ Voto: 4,5 / 5
📽️ Extra
Lo avevo in lista da anni e finalmente questo mese l'ho recuperato: sto parlando di In Bruges - La coscienza dell'assassino (2008), lungometraggio d'esordio di Martin McDonagh (regista dei più famosi Tre Manifesti a Ebbing, Missouri e Gli spiriti dell'isola). Mi aspettavo una tarantinata e una tarantinata ho avuto, con delle buone sfaccettature dei personaggi principali (due killer mandati in esilio dopo un incarico andato male), un'ambientazione originale (la città belga di Bruges durante il periodo natalizio) e qualche dilemma morale ben congegnato. Peccato per le derive surreali e sopra le righe che mi hanno fatto storcere il naso. L'ho visto su Prime Video.
⭐ Voto: 3,5 / 5
🕹️ Backlog
Una rubrica in cui cerco di conciliare videogiochi e vita adulta.
In questa stagione di riscoperta dei videogiochi, sto cercando di alternare titoli corposi - soprattutto dal punto di vista delle ore di gioco - a opere più contenute. Così, dopo aver terminato Half-Life, a inizio dicembre mi sono dedicato al celebratissimo Limbo.
Limbo (2010, Playdead) rientra nel percorso con cui sto approcciando i principali titoli della scena indie contemporanea (la prima tappa di questo viaggio era stata Braid, di cui ho parlato a ottobre); in più, Limbo è stato sviluppato da uno studio europeo (danese, per la precisione), e io sono sempre curioso di provare giochi che esulano dai due assi dominanti (quello americano e quello giapponese).
Si tratta di un classico platform 2D con qualche rompicapo da risolvere, un gameplay in effetti molto simile a quello di Braid. E con quest’ultimo condivide anche una trama volutamente misteriosa: nel gioco vestiamo i panni di un bambino che si sveglia in una foresta, senza alcuna spiegazione su chi siamo e perché ci troviamo lì. Proseguendo qualche indizio emergerà, e nel finale si comprenderà qualcosa in più - forse, perché anche in questo caso esistono diverse interpretazioni (chissà se questa ambiguità narrativa è un tratto tipico degli indie di quegli anni).
Sicuramente è un gioco breve, uno dei più corti cui abbia mai giocato: sono arrivato ai titoli di coda in circa 4 ore, ma non c’è stato un singolo minuto che non sia stato di qualità. Limbo è infatti la dimostrazione - se mai ce ne fosse bisogno - che per fare un grande gioco non serve un grande budget.



Bastano pochi screenshot per capire che una delle peculiarità di Limbo è l’aspetto visivo: si tratta di un gioco interamente in bianco e nero. Tutta la direzione artistica è sopraffina, in gran parte basata sul contrasto tra luce e ombra: lo stesso protagonista non è altro che una figura in controluce, un’ombra scura su cui spiccano solo gli occhi, e lo stesso vale per i pochi antagonisti che si incontrano. Nel corso della vicenda si esplorano diversi ambienti (una foresta, un ambiente urbano, una fabbrica) e ciascuno di essi è caratterizzato alla perfezione, pur con uno stile minimalista. Non solo: la regia rende il tutto molto cinematografico, tra zoomate, carrellate, elementi in primo piano che passano davanti alla “telecamera”. Forse la sequenza che mi è rimasta più impressa è quella sui tetti sotto la pioggia, ma le schermate non rendono giustizia al lavoro che c’è dietro, per cui vi consiglio di guardare qualche video.
Anche perché così potete apprezzare un altro aspetto notevole del titolo, e cioè il suo comparto sonoro. C’è un tappeto musicale ambient che punteggia i momenti significativi, ma soprattutto c’è una cura maniacale per gli effetti sonori (talvolta fondamentali per risolvere gli enigmi): i passi del protagonista su diverse superfici, la pioggia battente, le trappole che scattano lungo il percorso… Il sonoro è una delle colonne portanti di questo titolo, anche se mi riesce difficile spiegarlo a parole2.
Limbo non è soltanto un titolo bello da vedere e da ascoltare, ma è anche validissimo da giocare. Il gameplay è classico (si usano soltanto i tasti direzionali, più uno per saltare e uno per spostare gli oggetti) e la curva di difficoltà è ben calibrata (il gioco a tratti è sfidante ma mai impossibile, a differenza di Braid). Certo, è un titolo che si basa molto sul trial-and-error, quindi morirete parecchie volte prima di capire cosa fare3; ma questo è un meccanismo di base di molti videogiochi.
Sono stato davvero contento di giocare a Limbo, un titolo che merita la sua fama e che consiglio a tutti - anche a chi non è avvezzo ai videogiochi, visto che richiede un impegno minimo e presenta la giusta dose di sfida. Ovviamente ho messo in wishlist Inside - il gioco successivo di Playdead, uscito nel 2016 - e a questo punto non vedo l’ora di provarlo.
Limbo è disponibile praticamente per qualsiasi piattaforma: PC (Steam o GOG), Xbox (incluso anche nel Game Pass), PlayStation, Nintendo Switch e persino Play Store e iOS.
⭐ Voto: 4 / 5
🕹️ Extra
A volte uno vuole solo rilassarsi con un caro vecchio gioco di guida arcade. Però devo ammettere che FlatOut (2004, Bugbear; anche questo uno studio scandinavo, nello specifico finlandese) ha superato le mie aspettative. Ricordo che all'epoca se ne parlò soprattutto per il motore fisico, capace di gestire i danni alle vetture e la distruzione di alcuni elementi di scena. A me ha ricordato titoli della mia infanzia come Destruction Derby o Burnout, e mi sono divertito ad arrivare fino in fondo alla modalità Carriera (anche se, dopo che sono riuscito a comprare l'auto più potente, è diventato tutto molto facile). Vi dirò, se qualcuno scriverà mai una storia dei videogiochi di guida, io penso che FlatOut una menzione se la debba meritare. Si trova su PC (Steam o GOG).
⭐ Voto: 3,5 / 5
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
Come ogni anno a dicembre, sul blog di Urania sono comparse le anticipazioni sulle uscite dell'anno nuovo. Si tratta di un programma di massima, suscettibile di modifiche o slittamenti, ma ho comunque già individuato almeno quattro titoli che andranno a ingrossare la mia pila di libri da leggere. Sempre sul fronte Urania - e a postilla delle polemiche di cui riferivo a ottobre - il direttore della collana ha recentemente affermato che farà un esperimento pubblicando anche un romanzo italiano finalista al Premio Urania (e non solo il vincitore come avvenuto finora). Inoltre, sui principali social, sono comparsi finalmente i profili ufficiali di Urania (qui quello Instagram). Insomma, forse alla fine quella polemica sterile ha fatto anche cose buone.
In Spagna hanno risolto un caso di omicidio grazie alla Street View di Google Maps, che ha immortalato un uomo mentre caricava in macchina un cadavere. What a time to be alive.
Travle è un giochetto online che propone ogni giorno una sfida geografica. Vengono estratti due Paesi del mondo e devi andare dall’uno all’altro nel minor numero di mosse possibili. Esistono anche delle varianti locali, tipo quella italiana basata sulle provincie.
Invece su questo sito potete inserire un qualsiasi indirizzo del mondo, e sulla mappa compariranno le voci Wikipedia esistenti per luoghi o monumenti nei dintorni.
A proposito di Wikipedia. Questo mese ho letto una bella intervista ad Annie Rauwerda, curatrice dell’account X/Twitter Depths of Wikipedia, dove condivide le cose più strane che si trovano sull’enciclopedia online. Da leggere se, come me, siete appassionati di questo progetto o semplicemente curiosi di sapere cosa c’è dietro4.
E con questo è tutto, sia per il mese che per il 2024. Ci sentiamo tra una trentina di giorni. Nel frattempo, buona fine e buon principio. Ciao!
Che vita avventurosa che ho avuto.
Per il secondo mese di fila elogio un videogioco per il suo sonoro. Penso che ciò sia dovuto al fatto che sto giocando con le cuffie, e quindi la mia percezione dei suoni è amplificata.
A tal proposito, specifico una cosa: in Limbo si muore nei modi più disparati - affogati, tagliati a metà, schiacciati, fatti esplodere, infilzati da un ragno gigante, e potrei andare avanti ancora per un po’. Non ci sono picchi di violenza - come avrete capito lo stile grafico è minimalista - ma poiché tutto ciò coinvolge il bambino protagonista, alcune persone potrebbero trovare la cosa disturbante.
Quante macchine distrutte a Destruction Derby :)
(E devo dirti che anche io ho apprezzato moltissimo la nota 1)
La nota 1) mi ha fatto volare! Buon anno e al prossimo riepilogo!