Ottobre 2024
Un nuovo racconto pubblicato, la normalizzazione della Pixar, due videogiochi recuperati e la fantascienza italiana nel caos.
Bentornati a Il riepilogo mensile!
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Basta con i convenevoli, anche questo mese il menù è ricco e quindi passo dritto alle rubriche tematiche. In questo numero:
⌨️ Scrittura: un nuovo racconto pubblicato
🎞️ Visioni: Inside Out 2 e la normalizzazione della Pixar
🕹️ Backlog: recuperando Costume Quest e Braid
🔗 Link: la fantascienza italiana nel caos e altri articoli interessanti
⌨️ Scrittura
Aggiornamenti sulle cose che ho scritto, sto scrivendo o dovrei scrivere.
A gennaio avevo detto di essermi cimentato nella scrittura di un racconto brevissimo per un'antologia di prossima uscita. Be', ci siamo: il libro è stato pubblicato questo mese! Si intitola 365 racconti gialli, thriller e noir, ed è edito da Delos Digital.
Non mi dilungherò sul racconto in sé (ho detto tutto nel post linkato qui sopra), se non per ricordarvi che si intitola Orso e Cobra, è lungo solo una pagina e nell'antologia lo trovate al 26 gennaio. Voglio invece sottolineare ancora una volta il lavoro mirabile delle curatrici - Marika Campeti e Claudia Cocuzza - che hanno selezionato i 365 racconti facendosi carico dell'organizzazione del progetto. La selezione vede sia autori affermati con all'attivo diversi romanzi pubblicati, sia esordienti assoluti, passando per tutte le sfumature intermedie: in questo l'iniziativa è stata encomiabile, perché ha dato a tutti le stesse opportunità. Tra gli esordienti voglio citarne uno, per il semplice motivo che è un mio amico di lunga data: Stefano Palmacci, che senza dirmi niente ha partecipato al contest ed è stato selezionato con un racconto di stampo poliziesco. Essere presenti insieme nella stessa antologia mi fa davvero piacere!
Approfitto di questa rediviva rubrica per darvi un aggiornamento sul romanzo in scrittura. A settembre sono tornato a lavorarci dopo la pausa estiva, e in questo mese di ottobre ho tenuto un ritmo più che soddisfacente, scrivendo quasi tutte le sere. Ho fatto tesoro della lettura di On Writing (ne ho parlato il mese scorso) e sto cercando di arrivare il prima possibile alla fine di questa prima stesura, anche a costo di abbozzare soltanto alcune scene. Ci sarà un'intensa fase di revisione più avanti, e molte cose le potrò aggiustare in quella sede.
Ma a che punto sono con la stesura? (Ottimo, adesso mi faccio anche le domande da solo). Sono decisamente nella seconda metà del romanzo, ma è difficile anche per me capire dove mi trovo di preciso. Posso dirvi che il libro è diviso in parti: ne ho scritte quattro, ne sto ultimando una quinta, e ne devo scrivere ancora due (che saranno però più corpose, visto che devo far confluire e poi portare a compimento diverse linee narrative). Non posso ancora dire di intravedere la fine, ma almeno guardo alle prossime settimane con un po' di ottimismo.
🎞️ Visioni
Una rubrica in cui parlo dei film - vecchi o nuovi - che ho visto di recente.
Tra i vari nomi che avevo preso in considerazione per questa newsletter c'era anche Consumi mediatici. Difficile dire se fosse più o meno ridicolo di quello che ho scelto alla fine, ma una cosa posso affermarla con sicurezza: meglio ancora sarebbe stato Consumi mediatici asincroni, visto che il più delle volte parlo di opere e prodotti di cui tutti gli altri hanno parlato mesi se non anni prima. Dunque eccovi serviti con Inside Out 2 di Kelsey Mann, che al cinema è uscito lo scorso giugno, in streaming ci è arrivato a settembre, e io infatti ne parlo a ottobre.
Quando nel 2015 uscì il primo Inside Out, tutti ne parlavano in termini entusiastici. Ho questo ricordo nitido di persone con cui abitualmente non parlavo di cinema che invece mi consigliavano con insistenza di andare a vedere il film. Non che ce ne fosse bisogno: all'epoca non mi perdevo un solo film Pixar in sala. Pixar che stava attraversando un periodo complicato: dopo quindici anni senza sbagliare un colpo, erano arrivati in sequenza Cars 2 (imbarazzante), Brave (il peggior film Pixar di sempre? Io dico di sì) e Monsters University (carino, ma un prequel non necessario). Insomma, ci eravamo tutti accorti che la Pixar poteva sbagliare, e forse per questo l'attenzione attorno a Inside Out - prima, durante e dopo la sua distribuzione in sala - fu alle stelle.
Per tutta questa serie di aspettative, quando alla fine andai a vedere Inside Out rimasi interdetto. Intendiamoci: il film era ottimo e aveva (almeno) un momento di commozione potentissimo in puro stile Pixar; ma allo stesso tempo non mi sembrava il capolavoro che tutti stavano osannando, e non raggiungeva le vette dei film del decennio precedente.
Andiamo avanti veloce fino al 2024. In questi quasi dieci anni la Pixar, almeno ai miei occhi, si è normalizzata: ha prodotto svariati sequel (più o meno riusciti), qualche soggetto originale (e alcuni di questi avrebbero meritato più fortuna, tipo lo sfortunatissimo Onward, uscito a ridosso del lockdown) e un solo capolavoro (ovviamente Coco). Io continuo a vedere tutti i suoi film (ho mancato solo Red e Lightyear, entrambi del 2022) e, anche se non li attendo più con la trepidazione di un tempo, mi aspetto sempre quel qualcosa in più. È quindi con questo stato d'animo che questo mese ho recuperato Inside Out 2.
Che, lo voglio dire subito, è un bel film. Poggia su delle fondamenta solide (le stesse del primo capitolo, che aveva svolto in maniera eccellente uno spunto originale), il tema della costruzione della personalità è ben portato avanti e il design è ispiratissimo. Il film mi ha strappato parecchie risate sincere (le gag con la crush videoludica di Riley, la comparsa in anticipo di Nostalgia, le emozioni nella testa dei genitori) e tutto sommato riesce a ricostruire in modo efficace quel gran casino della (prima) adolescenza in un film per famiglie di un'ora e mezza. Le nuove quattro emozioni - Ansia, Imbarazzo, Invidia e Noia - sulla carta promettevano faville, ma di fatto vengono fagocitate dalla sola Ansia: forse la cosa è voluta visto il tema di fondo del film, ma ho avuto la sensazione che le altre new entry siano state sottoutilizzate (ma che dico, Noia è proprio un personaggio inutile).
Quello che manca rispetto al primo capitolo - e di conseguenza anche rispetto ai capolavori Pixar - è l'aspetto più emotivo. Inside Out 2 non è riuscito a tirarmi fuori le emozioni - il che è paradossale, visto che le emozioni sono letteralmente le protagoniste del film. In un certo senso si adagia e porta a casa il compitino - svolto benissimo, lo ripeto - ma sconta il fatto di essere un film Pixar. Sono piuttosto sicuro che, se questo fosse un film DreamWorks, starei qui a scrivere che mi ha sorpreso; ma non lo è, e io dai film Pixar mi aspetto sempre qualcosa in più. Anche ora che ha imboccato la via della normalizzazione.
Comunque, al netto delle mie elucubrazioni mentali, nel corso dell'estate Inside Out 2 è diventato il film d'animazione con l'incasso più alto di tutti i tempi. Mi sembra scontato che la saga continuerà e quindi, per citare una recensione apparsa su Letterboxd:
Can't wait for Inside Out 3 to give us Addiction, Depression, Wrath and Horny.
🕹️ Backlog
Una rubrica in cui cerco di conciliare videogiochi e vita adulta.
È passato poco più di un mese da quando ho messo le mani su una Steam Deck (come ho raccontato nell'aggiornamento di settembre) e la prima notizia è che la sto usando assiduamente. Le mie sessioni di gioco vanno dai trenta minuti all'ora, la sera prima di andare a dormire, in genere sul divano o in poltrona: in pratica le condizioni d'uso che mi aspettavo.
Il mio proposito di videogiocare è talmente solido che ho aperto un account su Backloggd, una piattaforma online che funge sia da diario dei titoli giocati che da social network. L'ho fatto perché mi piace tenere traccia di quello che faccio, ma anche per rispondere a una curiosità personale: a quanti videogiochi ho giocato nella mia vita? La risposta è nel link qui sopra e ha sorpreso anche me.
Comunque, adesso ho un dispositivo adatto e decine di titoli pronti per essere installati, il che mi ha fatto provare una vertigine paragonabile allo scrolling infinito sulle piattaforme di streaming: e adesso a cosa gioco? Nel backlog ho titoli di ogni tipo risalenti agli ultimi tre decenni, ma se da un lato quelli più recenti mi chiamano a sé - con le loro narrative evolute che guardano al cinema - dall'altro sento che partire in quarta con i giochi di ultima generazione sarebbe uno shock (se escludiamo i remake, il titolo più recente che ho giocato è del 2007). Per cominciare mi serviva una traccia, un percorso logico da seguire per non perdermi, un filo conduttore tematico. (Mio Dio, Luigi, ma non potresti giocare e basta come fanno tutti?)
Alla fine ho trovato una quadra. E ho inaugurato la Steam Deck con Costume Quest.
Sono diversi i motivi che mi hanno condotto a Costume Quest (2010, Double Fine Productions). Il primo è la ricerca di una comfort zone: volevo ritrovarmi in un ambiente familiare, sia per tematiche che per meccaniche di gioco. In tal senso, i titoli della Double Fine Productions sono perfetti, e non a caso sono nel mio radar da quindici anni almeno. La Double Fine è uno dei diversi studi che hanno raccolto l'eredità della LucasArts, ovvero la casa di produzione che negli anni '90 mi ha forgiato come videogiocatore con le sue avventure grafiche. Alla guida della Double Fine c'è Tim Schafer, che alla LucasArts curò tra gli altri Grim Fandango: semplicemente uno dei miei giochi preferiti di sempre.
Il secondo motivo che mi ha spinto fino a Costume Quest è la sua durata contenuta. Dopo due esperienze da decine di ore come i primi due Baldur's Gate, avevo voglia di un gioco che potessi portare a termine in poco tempo; in questo mi è venuto in aiuto il sito How Long To Beat, che mappa la durata media dei videogiochi. C'è poi un terzo e ultimo motivo, legato al mese in cui ci troviamo: Costume Quest è ambientato durante la notte di Halloween, e non c'è periodo migliore dell'anno per giocarci - soprattutto per chi, come me, ha sempre subito il fascino di questa festa senza poterla mai vivere appieno.
Costume Quest è un videogioco d'avventura con elementi da gioco di ruolo. Interpretiamo un bambino che esce nel suo quartiere la notte di Halloween, solo per scoprire che la città è invasa da mostri assetati di dolciumi. Bisogna attraversare un totale di tre aree (il quartiere, il centro commerciale e un villaggio) facendo "dolcetto o scherzetto" in tutte le case e superando alcuni occasionali scontri con i nemici. Durante l'avventura si possono controllare tre diversi bambini, e ognuno di essi può essere equipaggiato con svariati costumi; ogni costume sblocca delle abilità speciali da utilizzare durante l'esplorazione o il combattimento. Gli scontri con i nemici si svolgono a turni e ricordano le meccaniche dei giochi di ruolo giapponesi; ogni vittoria assegna i classici punti esperienza per progredire di livello e una certa quantità di dolcetti, che possono essere usati come moneta per acquistare potenziamenti vari.
Si tratta chiaramente di un gioco destinato a un pubblico molto giovane, e per questo la difficoltà è tarata verso il basso: i combattimenti non sono mai impegnativi, le abilità e gli oggetti si ricaricano dopo ogni battaglia, e se anche capitasse di venire sconfitti (cosa che a me è successa soltanto un paio di volte) non c'è game over. Vi dirò, era proprio l'esperienza che cercavo: qualcosa di poco impegnativo e che potessi padroneggiare senza sforzi.
Costume Quest è un prodotto interessante anche per il contesto in cui è nato. La Double Fine attraversava un momento di instabilità finanziaria, e Tim Schafer ebbe un'intuizione: per due settimane divise il team in squadre più piccole, incoraggiando ciascuna di esse a produrre un prototipo da proporre a finanziatori esterni. Costume Quest fu uno dei due progetti selezionati, venne sviluppato integralmente e infine pubblicato da THQ nel 2010. Alla guida del progetto ci fu Tasha Sounart, che aveva in precedenza lavorato come animatrice alla Pixar: e la cosa non mi sorprende visto il risultato finale, che ha un design con una certa personalità. Alla stesura dei dialoghi collaborò lo stesso Tim Schafer, e lo si capisce dal taglio umoristico di tutte le situazioni. Tra le varie persone che misero mano al progetto, cito anche il compositore Peter McConnell - pure lui ex LucasArts - che come al solito è riuscito a sfornare dei temi musicali che mi sono risuonati in testa per giorni.
Mi ha stupito scoprire che Costume Quest abbia avuto abbastanza successo da dare origine a un DLC (Grubbins on Ice: ci ho giocato ed è carino), a un sequel (pubblicato nel 2014 e protagonista di questa puntata della newsletter Giochetti, che consiglio sempre), a una graphic novel e persino a una serie animata (distribuita da Prime Video). Io credo che sia un piccolo gioco che vale la pena recuperare, perfetto da giocare insieme a dei bambini.
Costume Quest è disponibile su PC (Steam, GOG, Epic), Xbox (anche nel Game Pass) e persino iOS (ma solo sulle versioni più vecchie del sistema operativo). Su PlayStation è invece disponibile il sequel Costume Quest 2.
La durata contenuta del titolo (che ho finito in circa 5 ore) mi ha permesso addirittura di portarne a termine un altro. Per cui questo mese vi parlo anche di Braid.
Perché ho scelto Braid (2008, Number None)? Innanzitutto per un motivo strettamente personale: io a Braid, in realtà, ci avevo già giocato nel 2009. Si tratta infatti del primo gioco che ho acquistato su Steam, anche se ignoro cosa mi possa aver spinto a comprarlo ai tempi (avevo smesso di videogiocare, non compravo più riviste, non leggevo siti specializzati). Mi dedicai ai primissimi livelli e poi lo abbandonai, per cui sentivo che dovevo chiudere un cerchio.
Il secondo motivo è storico-videoludico. Braid è oggi considerato il capostipite dei giochi indie contemporanei, cioé di quei titoli sviluppati da team molto piccoli (o addirittura da una sola persona) senza l'appoggio di grandi case di produzione. Visto che ho intenzione di giocare, prima o poi, diversi indie di culto usciti negli ultimi anni, mi sembrava giusto andare alle radici del fenomeno.
Braid è un gioco strano. Si presenta come un classico platform 2D con alcuni elementi da puzzle game (nel senso letterale: bisogna raccogliere tessere in giro per i livelli e poi assemblarle insieme), ma con una particolarità: è possibile riavvolgere il tempo in qualsiasi momento, con un impatto diretto sul gameplay e sul mondo di gioco. In più, ciascuno dei sei mondi di gioco presenta una diversa alterazione temporale: in uno il tempo scorre sempre al rovescio, in un altro andare avanti e indietro nello spazio fa muovere di conseguenza il tempo, e così via. Questo trasforma ogni livello in un bel rompicapo, obbligando il giocatore a trovare sempre nuove soluzioni.
Venendo da Costume Quest, questo gioco mi è sembrato parecchio complesso. Spesso mi sono dovuto spremere per bene le meningi per venire a capo di certe soluzioni (non proprio l'ideale considerando che ci ho giocato tra le 23 e mezzanotte); e non nego che, in alcuni punti, sono dovuto ricorrere a dei video su YouTube. Ma quando ho trovato la soluzione da solo la soddisfazione è stata immensa.
Il gioco ha un design minimalista ma funzionale, con sfondi che sembrano quadri espressionisti. Anche la colonna sonora - che per ragioni di budget è composta solo da brani su licenza - fa il suo lavoro, e il pezzo Downstream di Shira Kammen l'ho fischiettato per giorni interi. Dove invece Braid mostra il fianco è sul fronte narrativo. Certo, questo tipo di videogiochi punta soprattutto sul gameplay, ma una trama c'è e viene fatto intuire sin dall'inizio che ci sarà uno sviluppo; solo che io ho dovuto leggere degli articoli online per capire cosa succede alla fine del gioco. Le interpretazioni sul vero significato della storia di Braid si sprecano e sono le più disparate, ed eviterò di riportarle qui. In generale il suo impianto narrativo mi è sembrato, nel bene e nel male, l'equivalente di un film arthouse che lascia più domande che risposte nello spettatore. È sicuramente un titolo che ha un'ambizione alta e qualcosa da dire (non a caso il suo autore - Jonathan Blow - ha citato tra le varie fonti di ispirazione Italo Calvino e David Lynch) ma, almeno nel mio caso, il messaggio non è arrivato poi così chiaro.
Non sono sicuro di sentirmela di consigliare Braid. I puzzle sono in gran parte riusciti e ti spingono al ragionamento laterale, ma c'è una certa pretenziosità di fondo che mi ha lasciato l'amaro in bocca. Se questo aspetto non vi spaventa e volete recuperarlo (anche solo per ragioni storiche), pochi mesi fa è stata pubblicata una Anniversary Edition con alcuni ritocchi estetici e diversi livelli aggiuntivi.
La versione originale di Braid è disponibile su PC (solo su GOG) e su Xbox. La Anniversary Edition è invece più facilmente reperibile: è presente su PC (Steam), Xbox, PlayStation e Nintendo Switch.
🔗 Link
Una raccolta dei migliori contenuti in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
C'è maretta nella fantascienza italiana. A Stranimondi - uno dei principali festival italiani dedicati al fantastico - Franco Forte, direttore editoriale di Urania, ha annunciato che lo spazio dedicato agli autori italiani su Urania sarà drasticamente ridotto. Il motivo è che le vendite dei volumi di o con scrittori italiani - e persino quelli di autori americani dai cognomi non anglofoni, come Scalzi e Bacigalupi - sono nettamente inferiori a quelle dei volumi di scrittori anglosassoni. L'esternazione ha suscitato un vespaio di polemiche piuttosto confusionario, che si è sviluppato soprattutto su Facebook (e ho detto tutto). Evito di aggiungere il mio pensiero sulla questione, un po' perché non credo di avere tutti gli elementi per poter valutare in maniera oggettiva il caso (a partire dalle dinamiche editoriali di Urania), un po' perché si sta facendo polemica su una nicchia (la fantascienza italiana) di una nicchia (la fantascienza tout court pubblicata in Italia) di un qualcosa che è a un passo dal diventare una nicchia (il mercato editoriale italiano). Se volete approfondire la questione, vi segnalo l'intervista di Silvio Sosio a Franco Forte pochi giorni dopo Stranimondi, e l'intervento ben più caustico (ma condivisibile) di Angela Bernardoni e Andrea Viscusi nell'ultima puntata del loro podcast Reading Wildlife.
The Verge ha dedicato uno speciale al 2004 dal punto di vista tecnologico, notando che il mondo digitale in cui viviamo oggi ha piantato le proprie radici proprio venti anni fa. Lo speciale si raggiunge qui, ed è strutturato attraverso diverse sotto-pagine, ognuna delle quali è ricercatissima nel design (e vale la pena fare un giro anche solo per questo).
La newsletter Scrolling Infinito di Andrea Girolami non ha certo bisogno di presentazioni. Per festeggiare il raggiungimento dei diecimila iscritti, è uscita una puntata speciale in cui l'autore dà consigli di vario tipo per lanciare e far crescere una newsletter di successo. Una lettura interessante e piena di spunti per chi si vuole lanciare (o si è già lanciato) in questa avventura.
Niente, anche questo mese ho scritto più di quanto avessi preventivato. Ci risentiamo tra trenta giorni, ciao!
Grazie per il riepilogo e congratulazioni per "Orso e Cobra” 🙌 La mia esperienza con i videogiochi si è limitata agli anni Novanta e ai vari giochi di calcio dei primi anni Duemila (in mezzo, un innamoramento per "Final Fantasy IX" che però non mi ha portato a giocare oltre). Leggere il tuo resoconto è stato molto interessante e mi ha fatto ripensare a "Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow” di Gabrielle Kevin, un’altra lettura che mi ha fatto riflettere sul potere della narrazione all’interno dei videogiochi. Se non l’hai letto, te lo consiglio!