Maggio 2024
La scrittura va, almeno per ora; canzoni che hanno vent'anni e canzoni nuove; il ritorno dei videogiochi nella mia vita.
Bentornati a Il riepilogo mensile! Questo mese pensavo di avere poco da scrivere, e invece alla fine è venuta fuori una puntata un po’ più lunga del solito. Tra le altre cose, troverete una rubrica nuova di zecca, che al pari delle altre avrà una cadenza saltuaria.
Evito di allungare ulteriormente il brodo. Buona lettura!
⌨️ Scrittura
Aggiornamenti sulle cose che ho scritto, sto scrivendo o dovrei scrivere.
Sto scrivendo, e già questa è una notizia. Quello di aprile poteva essere un fuoco di paglia, invece anche a maggio sono riuscito a essere costante, lavorando al nuovo romanzo quasi ogni sera. È un piccolo, grande traguardo, e per il momento me lo godo.
Forse qualcuno si starà chiedendo quanto io sia andato avanti nella stesura dopo due mesi di lavoro. Vi sorprenderà sapere che sono fermo allo stesso punto in cui mi trovavo a inizio aprile. Com’è possibile?
La risposta l’ho data in parte già il mese scorso: ho passato parecchio tempo a riscrivere capitoli interi o parte di essi. La revisione è una parte fisiologica di ogni stesura, e con questo romanzo la sto facendo in itinere: questo vuol dire che buona parte di quello che ho scritto è già a un livello che reputo presentabile, proprio perché letta e riscritta almeno due volte. Per me, abituato a revisionare solo a stesura terminata, è un processo nuovo: se da un lato mi rallenta, dall’altro mi consente di avere le idee più chiare su come proseguire. La revisione mi ha fatto rendere conto di alcune incongruenze logiche, motivo per cui nelle ultime settimane ho spostato un intero blocco di scene qualche capitolo più avanti; mi ha fatto capire che dovevo aggiungere un paio di capitoli ex novo in mezzo; mi sta inoltre aiutando a chiarire i rapporti tra i personaggi e – si spera – a creare un arco narrativo migliore per tutti loro.
Ormai sono quasi in pari con la revisione di quanto scritto, per cui sono pronto per proseguire con la stesura di parti inedite. Occhio e croce, dovrei aver superato la metà: ma questa è più che altro una sensazione, e potrei smentirmi strada facendo.
🎵 Ascolti
Una rubrica in cui parlo di musica senza avere alcuna competenza.
Questo mese i miei ascolti sono stati un mix di vecchio e nuovo. Nella prima parte del mese mi sono ritrovato a riascoltare buona parte della discografia dei The Killers, forse perché a breve saranno vent’anni dall’inizio della loro carriera. Curiosamente, negli stessi giorni è venuto fuori su Il Post un approfondimento su Mr. Brightside – forse il loro pezzo più famoso – in cui viene riportata questa frase molto condivisibile: «ha tutto quello che serve a una composizione: un ritornello grande come Giove, un verso di apertura così epocale che andrebbe tradotto in latino e inciso sulle porte delle città, un riff che ti dà una botta di serotonina più grande di un orgasmo».
Fun fact: rivedendo il video della canzone (che al momento ha 563 milioni di visualizzazioni su YouTube, di cui almeno un paio di milioni attribuibili a me), ho scoperto che Eric Roberts – caratterista di lungo corso che presta il volto al viscido antagonista – è il fratello della più famosa Julia Roberts.
L’occasione è stata buona per ascoltare per la prima volta tutto Hot Fuss, album di esordio della band, pubblicato nel giugno 2004. La musica digitale ci ha abituato ad ascolti frammentati, privandoci del piacere di ascoltare un album dall’inizio alla fine: ho quindi rimediato, andando oltre le cinque tracce più famose (che peraltro sono le prime della track list), e scoprendo alcune belle canzoni come On Top, Change Your Mind e Believe me Natalie.
Anche a distanza di vent’anni, Hot Fuss resta un album sontuoso. E sebbene la mia canzone preferita dei The Killers – Read My Mind – sia contenuta nell’album successivo, resto ancora senza fiato davanti alla potenza di Jenny Was A Friend Of Mine: che si gioca il titolo di traccia di apertura migliore di sempre in un album musicale.
Per la mia dose mensile di musica nuova, invece, mi è venuta in soccorso la newsletter Indie Riviera di Francesco Piersimoni, una bella scoperta degli ultimi mesi. Nel numero di fine aprile Francesco ha consigliato Interplay, il nuovo album dei Ride: «una delle band shoegaze più importanti e seminali di sempre», che io però non avevo mai ascoltato prima.
Questo album (perbacco, anche questo l’ho ascoltato tutto) mi ha conquistato subito, a partire dalla traccia d’apertura, Peace Sign (ma menzione speciale anche per Last Frontier). Prendo in prestito le parole di Indie Riviera perché dicono già tutto: «Un disco che mi fa ricordare perché amo la musica, perché amo questo genere e perché è giusto continuare a cercare».
🕹️ Backlog
Benvenuti a Backlog, una nuova rubrica in cui cercherò di conciliare videogiochi e vita adulta. Pronti a seguirmi in questo esperimento fallimentare?
Cominciamo dal nome della rubrica, che richiede qualche spiegazione per i non iniziati. Nel gergo videoludico, il backlog – che in inglese vuol dire “arretrato, accumulo” – indica esattamente quello che pensate: la pila (vera o figurata) di videogiochi acquistati ma ancora in attesa di essere giocati. Ormai, complici la distribuzione digitale e gli sconti sempre più frequenti, per molti giocatori il backlog ha assunto dimensioni gargantuesche (oltre a essere diventato una base per innumerevoli meme). Nel corso degli anni ho accumulato anche io il mio personale backlog, composto in buona parte da titoli PC riscattati gratuitamente o al costo di un caffè su portali come Steam, GoG e Amazon Games. Ma, poiché non gioco ai videogiochi da un paio di ere geologiche, questi titoli non li ho mai toccati. Almeno finora.
Sono stato un videogiocatore incallito dalla metà degli anni ’90 alla metà degli anni 2000, in quella decina d’anni a cavallo tra infanzia e adolescenza. Ho vissuto in pieno la quinta generazione di console (con la prima PlayStation) e la sesta (con la prima Xbox), affiancando alle console anche un PC di livello medio-basso. Poi ho smesso completamente. Sul serio, sto provando a ricordare quali e quanti videogiochi io abbia giocato dal 2007 a oggi, e penso che li posso contare sulle dita di una mano: sicuramente Oblivion (mai finito, ahimè, nonostante fossi andato parecchio avanti), SimCity 4 (sempre piaciuti i gestionali), qualche partita a PES con mio fratello (da vero italiano medio), The Wolf Among Us giocato insieme a un amico (a puntate, ma il titolo si prestava) e poi l’incantevole To the Moon (cui dedicai un intero post sul mio vecchio blog). I motivi sono da rintracciare nella mancanza di tempo (la vita adulta, si sa, tende a fagocitare il tempo libero e le passioni), nella mancanza di strumenti adeguati (i videogiochi richiedono di stare al passo con la tecnologia, e per molti anni non ho avuto né le risorse economiche né la voglia di farlo) e in un generale disinteresse nei confronti del medium, al punto che per anni ho smesso anche di informarmi sulle novità del settore.
Le cose sono cambiate negli ultimi due anni, quando un po’ alla volta mi sono riavvicinato al mondo dei videogiochi. Per prima cosa ho ripreso a seguire le notizie sui titoli in uscita, le recensioni, gli approfondimenti verticali. Come scrivevo qualche mese fa, la ricerca di un’informazione migliore sui videogiochi è stato uno dei motivi che mi hanno fatto approdare alle newsletter. Un po’ alla volta, insomma, ho colmato il gap accumulato negli ultimi quindici anni: perché di cose ne sono accadute parecchie, e io ho trovato un settore molto diverso da come lo avevo lasciato. NewGame+, game as a service, platinare, souls-like, metroidvania: devo ammettere che, all’inizio, alcuni termini ho fatto fatica a capirli – ammesso che ci sia riuscito, alla fine. Per non parlare dei giochi in sé: se da un lato ho trovato ancora vive e vegete saghe che hanno ormai qualche decennio sulle spalle, dall’altro ho scoperto che nuovi titoli si sono imposti sul mercato con successi planetari, o hanno conquistato la critica con dinamiche originali e creative (penso soprattutto al sottobosco indie). Da ultimo, mi sono interessato alle dinamiche industriali e di mercato: che nell’ultimo anno e mezzo sono state particolarmente dolorose, visto che, dopo la crescita incontrollata degli anni pandemici, sono stati tagliati decine di migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo (su questo tema si trovano diverse analisi e riflessioni in rete, mi limito a linkare quella a firma di Stefania Sperandio per SpazioGames, per chi volesse approfondire).
Immagino che vi starete chiedendo perché io mi sia riavvicinato ai videogiochi dopo una pausa così lunga (o magari no, forse sono io che mi faccio troppe domande). Il motivo è semplice: perché mi piace la narrativa in tutte le sue forme, e credo che nei videogiochi – almeno in quelli cosiddetti story-driven – ci sia molto da studiare per uno scrittore. È ovvio, sono ambiti piuttosto distanti: ma il gusto per il racconto, l’arte della creazione di mondi, la costruzione delle dinamiche tra i personaggi sono le stesse; senza contare che i videogiochi rappresentano anche una finestra su tendenze tematiche più ampie, esattamente come il cinema o le serie tv.
Leggi un articolo oggi, leggine un altro domani, e alla fine mi è tornata pure la voglia di giocare ai videogiochi. Eppure ci è voluta la noia di un isolamento per quarantena, nell’aprile del 2022, per convincermi a fare l’ultimo passo: in quell’occasione spulciai nel mio backlog fino a trovare Indiana Jones and the Fate of Atlantis di LucasArts, celebratissima avventura punta-e-clicca del 1992 (molti appassionati per anni hanno sognato un quarto capitolo della saga cinematografica ispirato a questo titolo. E invece). Durante quel mese di aprile giocai assiduamente con Indy, rituffandomi in meccaniche a me arci-note (le avventure grafiche sono storicamente uno dei miei generi preferiti, e non starò qui a rimarcare il mio amore per Monkey Island e compagnia), ma comunque non riuscii ad arrivare alla fine: troppo frustranti alcuni passaggi in cui contava la precisione del click piuttosto che la materia grigia. Così lasciai perdere, pensando che quello che avevo vissuto fosse solo un episodio isolato.
Mi sbagliavo. Pochi mesi dopo, nell’autunno del 2022, mi ritrovai in una congiuntura favorevole di tempo libero serale a disposizione. Mi rituffai nel backlog e ne emersi con la volontà di affrontare un’avventura apparentemente fuori scala: Baldur’s Gate di BioWare, seminale videogioco di ruolo del 1998 (per la precisione, installai l’Enhanched Edition pubblica nel 2012, che è compatibile con i sistemi moderni). Baldur’s Gate è considerato una pietra miliare dei videogiochi per PC, un gioco di ruolo a visuale isometrica con decine di quest secondarie, un abbozzo di open world e diversi modi per completare le missioni, il tutto governato dalle regole della seconda edizione di Advanced Dungeon & Dragons: un gioco colossale, insomma, che all’epoca della sua uscita venne distribuito su 5 CD. Come potevo pensare di giocarci e portarlo a termine, tra lavoro, scrittura e famiglia? La sola idea di imbarcarsi in un’impresa del genere era folle, tant’è che quando lo dissi al mio amico Gabriele lui non poté far altro che sentenziare: “Ma tu sei pazzo”.
E invece ce l’ho fatta: in quasi 40 ore di gioco, distribuite su tre mesi, ho terminato la storia principale e una buona percentuale di missioni secondarie. Un’esperienza interessante e appagante sotto tanti punti di vista:
Per quanto la trama fosse un classico canovaccio fantasy da campagna D&D – con tanto di eletto, mentore ucciso in circostanze misteriose e fratello-gemello malvagio – mi sono goduto la storia dall’inizio alla fine. Ma come spesso accade, è nelle sottotrame dei personaggi e delle quest secondarie che si annidano le cose migliori.
Il gusto per l’esplorazione che ti mette addosso questo gioco è una cosa che non si può spiegare. Ho setacciato ogni mappa alla ricerca di segreti. E mi ha stupito la possibilità di muoversi liberamente per il mondo di gioco (di fatto una serie di aree interconnesse tra loro, che danno comunque l’illusione di un mondo vivo e vibrante).
Il gioco in sé è complesso, pieno di regole (e di matematica!) che nessuno ti spiega e devi imparare a padroneggiare nel tempo. Il gioco è accompagnato da due manuali che assommano circa duecento pagine, ma io ho dovuto comunque vedere un tutorial su YouTube per chiarirmi alcuni dubbi. Alla fine, quando affini la giusta strategia per battere quell’avversario che sembra invincibile, la soddisfazione è enorme.
Come ci si approccia a un videogioco degli anni ’90? Esattamente come ci si approccia a un film degli anni ’50: cercando di capire il contesto dell’epoca. Non è solo una questione di grafica obsoleta (per quanto Baldur’s Gate, come molti giochi con fondali prerenderizzati, sia invecchiato benissimo), ma anche di meccaniche di gioco e curva d’apprendimento. Sono un fan del retrogaming da tempi non sospetti, e più vado avanti più mi rendo conto che è una vera e propria forma di preservazione culturale.
Terminato il gioco, mi è venuta una gran voglia di approfondire il suo processo di sviluppo. Questa è una cosa tutta mia: adoro conoscere i retroscena che portano alla creazione delle opere che mi piacciono (siano esse libri, film o, appunto, videogiochi). Complice il fatto che Baldur’s Gate è un titolo pluricelebrato, ho trovato parecchio materiale: tra i vari articoli, il migliore è senza dubbio questo longform apparso su The Ringer a firma di Ben Lindbergh, che analizza la genesi del gioco e l’impatto avuto sul mercato. La cosa più assurda? Quasi nessuno degli sviluppatori assunti da BioWare per lavorare su questo titolo aveva mai lavorato su videogiochi prima: le magie che solo le storie anni ’90 riescono a regalare.
E dopo? Ovviamente, per oltre un anno non ho toccato un singolo gioco. Non ne ho avuto proprio fisicamente il tempo, davvero. Perché allora questo papiello proprio adesso? Perché a maggio le cose hanno cominciato a girare meglio, e allora ho dato un’occhiata al backlog e ho visto Baldur’s Gate II, e ho pensato che era un peccato lasciarlo lì a prendere polvere su uno scaffale digitale.
Così l’ho installato. Per ora sono a una quindicina di ore di gioco. Ma di questo ne parliamo in una prossima puntata.
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Una raccolta dei migliori articoli in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
Parecchi anni fa – ero alle medie – lessi la trilogia fantasy Queste oscure materie di Philip Pullman, composta da La bussola d’oro, La lama sottile e Il cannocchiale d’ambra, tutti editi in Italia da Salani. Ne rimasi incantato, anche se il passare del tempo ha cominciato a sbiadire i ricordi di quella lettura. Qualche giorno fa sono inciampato in questo articolo di Silvia Costantino, e mi è venuta voglia di rileggere tutta la trilogia.
Siamo arrivati alla fine, ci sentiamo il mese prossimo!