Febbraio 2024
Questo mese sono stato al pronto soccorso e ho letto "Ferrovie del Messico". Poco altro, direi
Bentornati a Il riepilogo mensile! Apriamo questo numero con un interessante dato statistico:
Numero di volte in cui sono stato al pronto soccorso nei miei primi 34 anni e mezzo: 0
Numero di volte in cui sono stato al pronto soccorso negli ultimi sei mesi: 2
Una progressione interessante, non c'è che dire. Nessuno dei due casi ha riguardato qualcosa di grave, ma entrambi richiedevano un consulto medico urgente; ed essendo capitati rispettivamente alle 20 e alle 4, la mia unica possibilità era recarmi al pronto soccorso.
Ora, come buona parte delle persone, conoscevo l'ambiente del pronto soccorso soltanto per sentito dire, e non sapevo quanto ci fosse di leggenda e quanto di realtà. Esserci andato in prima persona mi ha permesso di affacciarmi in questo universo parallelo che ha delle regole tutte sue, e in cui soprattutto il tempo sembra dilatarsi all'infinito. La prima volta, mentre mi sottoponevo al triage, l'infermiera me lo ha detto subito: "Guarda che ci vorranno alcune ore, eh" (in realtà in quell'occasione, capitata qualche mese fa, me la sono cavata in due ore e mezza, ma forse il fatto che perdessi sangue da una ferita mi ha fatto scalare posizioni). La seconda volta, nel cuore della notte, ero convinto di sbrigarmela in poco tempo; e invece sono tornato a casa dopo cinque ore e mezza (ma almeno mi ero portato un libro e ho letto un centinaio di pagine. Che libro? C'è la rubrica "Letture" poco più avanti, continuate a scorrere).
Ciò che più mi ha colpito, comunque, è l'umanità che popola questi non-luoghi. Non mi riferiscono alle persone che ci lavorano - massimo rispetto per loro, ma sono ormai totalmente anestetizzate di fronte allo straordinario, e quindi incapaci di coglierlo - ma alla fauna di malati veri o presunti che affolla le sale d'attesa. Per quanto la mia esperienza sia limitata a un singolo pronto soccorso romano, sono piuttosto sicuro che certe tipologie siano ricorrenti un po' ovunque. Penso che, se mi mettessi d'impegno, potrei persino ricavarne una sorta di catalogo, che potrebbe avere un nome esotico tipo Historia poetica y pintoresca de los prontos soccorsos italianos, e di cui questo potrebbe essere un estratto:
La coppia dall'accento campano che si lamenta di essere lì in attesa da otto ore, e ogni cinque minuti chiede quando arriva il proprio turno; l'immancabile carcerato piantonato dagli agenti della penitenziaria; la paziente che arriva e, prima ancora del triage, vomita sangue sul pavimento; il rom dal piede gonfio che mi dice che il mio è solo un taglietto, e lui quel tipo di ferite se le cauterizza da solo con un po' di alcol; il sudamericano che tutti trattano come un habitué, e che si intrattiene con dei poliziotti raccontando loro di quando spacciava cocaina in Ecuador; la donna che ha partorito in ambulanza ("Ogni tanto una bella notizia" commenta un'infermiera); la ragazza che accusa dolori addominali ma nessuno le dà retta, e devo aiutarla io a spostarsi dalla sedia alla barella; l'uomo dall'accento settentrionale che, nonostante sia lì per una sospetta broncopolmonite, inganna il tempo facendo call di lavoro; la gente che passa la notte abbandonata sulle barelle, nelle sale d'attesa o ai margini dei corridoi.
Torno a casa da questa duplice esperienza con due consapevolezze: la sensazione che basterebbe poco per ottimizzare tempi e processi (almeno a uno sguardo esterno, sono sicuro che ci sono vari gradi di complessità dietro quello che noi vediamo); e poi la certezza che tutto ciò, pur nella sua grottesca imperfezione, è gratuito e accessibile a tutti.
Bene, spero che il catalogo di cui sopra vi basti anche per la rubrica "Scrittura", perché questo mese la saltiamo e andiamo dritti a quella successiva.
📖 Letture
Una rubrica in cui parlo dei libri che ho avuto sul comodino negli ultimi tempi.
A un certo punto, sul finire del 2022, sui profili social che seguo si è cominciato a parlare tantissimo di Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi: un romanzo di oltre 800 pagine, scritto da un autore relativamente sconosciuto e pubblicato da una piccola casa editrice, che nel giro di pochi mesi si era diffuso grazie al passaparola ottenendo diversi riconoscimenti (tra cui il Premio Mastercard, il libro dell'anno di Fahrenheit e il Premio Zeno - a quest'ultimo, nella stessa edizione, mi ero candidato anche io con Il mondo finisce all'orizzonte, e solo a pensarci oggi mi viene da ridere). C'era abbastanza da attirare la mia attenzione, e così a gennaio 2023 mi venne regalato da mia moglie.
Nei mesi successivi - mentre il romanzo entrava nella dozzina finalista del Premio Strega e vendeva migliaia di copie (almeno 25mila, stando al dato più recente che ho trovato in rete: un'enormità per il mercato editoriale italiano) - io ritardavo il mio appuntamento con la lettura; non era mai il momento giusto, oppure non avevo abbastanza tempo da dedicare alla sua mole. Alla fine, tra gennaio e febbraio di quest'anno, mi sono deciso, incoraggiato anche dai commenti entusiasti di alcuni amici.
Lo dico subito: non mi ha convinto. Eppure, raramente una lettura mi ha dato tanto da pensare, facendomi interrogare sui miei gusti letterari, sul mio stile di scrittura e persino sulle logiche del mercato. Quello che segue è il risultato di queste riflessioni.
La prima cosa che ho fatto, una volta ultimata la lettura, è stata andare su Goodreads e leggere le recensioni degli utenti. Ho faticato parecchio per trovare dei giudizi che fossero in qualche modo affini al mio: il libro ha attualmente una media voto di 4.1 su 5, e la maggior parte delle recensioni va dal positivo all'entusiasta (io, per la cronaca, gli ho assegnato 3 stelle, dopo essere stato a lungo indeciso tra 2 e 3). Dei commenti meno lusinghieri alla fine li ho trovati, e mi ha colpito che ci fosse un concetto ricorrente in quasi ognuno di essi. Un concetto che descrive perfettamente il mio sentimento nei confronti di questo libro: perché, in estrema sintesi, ho trovato Ferrovie del Messico una lettura irritante.
Come da tradizione evito di raccontarvi la trama del libro, che in questo caso penso sia ampiamente nota. Ma evito di farlo anche per un altro motivo: Ferrovie del Messico, in realtà, mi è sembrato un romanzo senza trama. C'è una vicenda che fa da sfondo agli accadimenti del libro, ma appare come un pretesto per mettere insieme una serie di episodi; e il primo vero sussulto nella storia (nonché l'unico) è intorno a pagina 700. In un post su Facebook dello scorso 10 febbraio, l'autore afferma di aver costruito il libro come un'avventura grafica punta e clicca, citando tra gli altri Monkey Island: un paragone che regge nella struttura - vai là, parla con tizio, spostati là, ecc. - ma meno sul contenuto, perché persino l'avventura grafica più scanzonata ha dietro una trama che si rispetti. È vero, non tutti i romanzi si leggono per la storia che raccontano; ma capisco chi ha deciso di abbandonare la lettura anzitempo, perché lo sforzo che viene chiesto al lettore è notevole. E non è l'unico.
In più di un'occasione, infatti, ho avuto l'impressione che il libro giocasse contro il lettore, come se arrivare in fondo alle sue 824 pagine fosse una corsa a ostacoli. Non è solo la (non) trama in sé, è anche il modo in cui viene raccontata. Il romanzo, infatti, alterna capitoli della linea narrativa principale a capitoli di linee narrative ancillari; questi ultimi approfondiscono un personaggio o un tema appena accennati nel capitolo principale, dilungandosi a volte per un paio di pagine, a volte per qualche decina. Il problema è che i rivoli in cui si perde la narrazione sono apparentemente infiniti: ci sono punti di vista adottati soltanto per un solo capitolo, e persino nella parte finale del libro vengono introdotte nuove sottotrame che si esauriscono nel volgere di poche pagine. Le linee narrative, inoltre, sono collocate su piani temporali diversi: la vicenda principale si svolge nell'arco di pochi giorni del febbraio 1944, mentre quelle secondarie hanno luogo tanto nel passato quanto nell'immediato futuro.
Abbiamo quindi una trama tutto sommato lineare, ma raccontata in modo complesso. Ciò non sarebbe un problema se non fosse per quello che, a mio parere, è il difetto peggiore del libro: l'alternarsi spregiudicato tra prima e terza persona. O, per meglio dire, tra prime e terze persone. Qualche esempio: in un capitolo a parlare in prima persona è il protagonista; segue un capitolo narrato in terza che segue il punto di vista di un personaggio che non comparirà mai più; a seguire altro capitolo in prima persona dove a prendere la parola è un comprimario che fa un racconto in flashback; e così via per decine e decine di capitoli. Mi è sembrato che mancasse una coerenza interna, una regola che disciplinasse in maniera chiara i diversi punti di vista: al protagonista, per fare un altro esempio, è assegnata sia la prima che la terza persona, col risultato di ingarbugliare ulteriormente del materiale già complesso in partenza. Si tratta sicuramente di una scelta stilistica; ma se da lettore l'ho trovata infelice, da scrittore lo considero un vero e proprio errore.
C'è un segmento che è esemplificativo di tutto quanto elencato fin qui, ed è la sequenza ambientata nel cimitero di San Rocco, dove il protagonista incontra Lito, un becchino in vena di chiacchiere, e il suo compare muto Mec. La sequenza in questione comincia a pagina 186 e termina a pagina 357: quasi duecento pagine in cui la trama principale non registra alcun avanzamento, perché gran parte dei capitoli ad essa dedicati sono occupati dal racconto delle mirabolanti avventure latinoamericane di Lito e Mec, inframezzati da capitoli secondari ambientati in Messico col punto di vista di molteplici personaggi, o in Germania col punto di vista di Hitler (!), o che offrono persino visioni oniriche sul futuro di un altro personaggio. Si tratta di una sorta di lunghissima parentesi - che nel tempo del romanzo occupa appena qualche ora - alla fine della quale il protagonista afferma di essere esausto; e io, da lettore, non ho potuto che essere d'accordo con lui.
La somma di tutto ciò ha provocato in me un crescente senso di irritazione man mano che la lettura proseguiva. Soprattutto perché, a conti fatti, il libro non è brutto: si fa leggere in modo sorprendentemente agile, nonostante quanto detto sopra; contiene alcuni personaggi davvero memorabili (i sopracitati Lito e Mec; Edmondo Bo con i suoi cataloghi di poeti; la curandera sarda); offre alcuni passaggi di autentica bellezza letteraria ("Era bella, Giustina, di quel genere di bellezza che posseggono soltanto i reietti che hanno provato a essere felici", "Dormire, sognare, che altro ci resta. Quando dormo di giorno faccio sogni bellissimi", "L'amore, insinuandosi in profondità nella sua anima, produsse il medesimo effetto dell'innesco di un ordigno: la dilaniò completamente"). Ma tutto ciò è talmente annacquato che la mia irritazione non ha fatto altro che aumentare.
Per lunghi tratti mi sono sentito addirittura preso in giro da una narrazione che girava a vuoto, da parentesi interminabili che nulla aggiungevano all'economia del romanzo se non qualche pittoresco personaggio, dal suo essere letterario in modo più che compiaciuto. Non aiuta, infatti, il lessico eccessivamente ricercato che pervade il romanzo dall'inizio alla fine. All'inizio neanche ci facevo troppo caso, e quando ho deciso di appuntarmi i termini più particolari ero ormai in prossimità della fine: lascio qui a titolo di esempio i soli bazzoffia, agucchiare e passadizzo. Di per sé non ci sarebbe niente di male, sia chiaro, ma alla lunga mi è sembrato un esercizio di stile che nulla aggiunge alla sostanza del libro.
Mi sembra evidente che Ferrovie del Messico non è il tipo di libro che cerco come lettore. D'altra parte, ammetto di non essermi mai accostato agli autori che vengono indicati come influenze letterarie dell'autore: Bolaño, Pynchon, Gadda. Soprattutto, mi sono reso conto che non è il tipo di libro che scriverei come autore, e questo forse ha influenzato più del dovuto il mio giudizio. So bene che tutto ciò suonerà patetico, perché io non sono nessuno e Griffi è l'autore di un caso letterario da molti additato come miglior libro italiano degli ultimi anni. Eppure non ho potuto fare a meno di notare che tutti i difetti che imputo al libro si addensano attorno a dei punti su cui, quando scrivo, rifletto a lungo. La mia prima preoccupazione è che il lettore comprenda ciò che succede, per cui cerco di strutturare il libro in modo da non disperdere le informazioni. Allo stesso modo, passo un bel po' di tempo a pensare ai punti di vista. Sono troppi? Sono pochi? Come li incastro tra di loro? Uso la prima o la terza persona? Il lettore capirà chi è che sta parlando in questo punto? Attenzione, non sto dicendo che Griffi non si sia posto le stesse domande; semplicemente, ha deciso di rispondere in modo opposto a come avrei fatto io.
Nonostante quanto ho scritto possa far pensare il contrario, sono comunque contento del successo che ha avuto questo libro, che ha senza dubbio il merito di essere uscito fuori dal coro della narrativa tradizionale italiana. Inoltre, immagino che un manoscritto del genere debba aver faticato parecchio a trovare un editore, e da questo punto di vista va un plauso a Laurana per averci creduto e aver saputo cavalcare l'onda del caso editoriale. Il mio giudizio è strettamente personale, e da quello che vedo appartiene alla minoranza dei lettori: sono più che lieto se qualcuno vuole dire la sua nei commenti.
🎵 Ascolti
Una rubrica in cui parlo di musica senza avere alcuna competenza.
Febbraio è il mese dell'onda lunga di Sanremo, è inevitabile. Delle canzoni del festival di quest'anno, sono tre quelle che sono rimaste anche dopo i due-tre ascolti canonici.
La prima è Governo Punk dei Bnkr44. Chi sono costoro? Non ne ho la minima idea, ma il loro pezzo è in assoluto quello che ho canticchiato di più nelle ultime settimane.
La seconda è Autodistruttivo dei La Sad. Amore al primo ascolto per questo pezzo pop punk che sembra la versione nostrana di una canzone dei Blink-182.
La terza è Tutto qui di Gazzelle, cantante da cui mi ero sempre tenuto alla larga finora, chissà perché. Invece nelle scorse settimane ho recuperato parte della sua discografia, rimanendo folgorato in particolare da Destri.
Sempre in tema Sanremo - più o meno. Davide Petrella alias Tropico è uno dei più richiesti parolieri degli ultimi dieci anni, e l'elenco delle canzoni che ha scritto parla da sé. Ma ho scoperto solo pochi giorni fa che ha esordito nel 2008 come frontman del gruppo Le Strisce, di cui ai tempi ascoltai a ripetizione la canzone Fare il cantante. Curiosamente, quel brano parlava della difficoltà nell'affermarsi sulla scena musicale italiana; un decennio e mezzo dopo, Petrella si è preso una bella rivincita. Vi lascio qui il video di Fare il cantante, così meravigliosamente anni 2000.
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Una raccolta dei migliori articoli in cui mi sono imbattuto in giro per il web questo mese.
La storia più bella che ho letto questo mese: quella della Anonima Impresa Sociale, una cooperativa che riapre e gestisce vecchi cinema dell'Umbria, trasformandoli in veri e propri centri di aggregazione culturale. Ne ha scritto Angelo Mastrandrea su Il Post, ed è un pezzo da leggere.
A dicembre si era parlato parecchio del record stabilito dal tredicenne Blue Scuti, che era riuscito a "finire" Tetris, un gioco programmato per essere virtualmente infinito. Federico Cadalanu ha ricostruito su L'Ultimo Uomo la storia del Tetris competitivo, ripercorrendo i vari record che si sono succeduti nel corso degli anni. Un pezzo assurdo, bellissimo e persino commovente nel finale.
Come si fa a mantenere salde le amicizie dopo i trent'anni? Una domanda che mi pongo molto spesso. Be', Rosie Spinks in un numero della sua newsletter è riuscita in qualche modo a guardarmi dentro e a mettere in parole ciò che penso. Una riflessione lunga e profonda, sul senso delle amicizie dopo una certa età e su come il mondo contemporaneo ci abbia spinto verso relazioni sempre più atomizzate.
Siamo arrivati alla fine. Mese corto, newsletter corta. Magari ci rifaremo a marzo, chissà. Alla prossima!
Comincio dal fondo: newsletter corta non direi 😅. Seconda riflessione: miglior recensione di un libro mai letta in vita mia, senza alcun dubbio.